mercoledì 31 gennaio 2007

nomi



E' tutto un festival, sul dolore oramai trentennale e sul desiderio di vendetta (che non c'è niente di male a chiamarla vendetta, ché anche la vendetta è un sentimento nobile!). Sono indignati, e non poco, per le prescrizioni, per gli sconti di pena, per la "poca galera". Vogliono vendetta, anche se la chiamano giustizia. Ma la giustizia attiene ad altro. La giustizia ha da essere un risarcimento. Ed ai morti non si risarcisce niente! Sono morti, ed è troppo tardi per risarcire. E invece i nomi continuano a rimbalzare. Rimbalzano da tutte le parti. Ma sono i nomi dei figli dei loro padri. E, quindi, dei padri. E i figli non si vergognano a chiamarli, a definirli, servi, i padri. E chiamano al rispetto. Del dolore, dei padri, dei servi. Guai a non rispettare. E' d'obbligo. Gli altri nomi, e gli altri dolori, no, non si fanno. S'avesse mai ad accennare ad un dolore altro, dall'altra parte.
So che serve a poco farli, i nomi, forse, ma li faccio io, qui, lo stesso. Sono solo nomi, per qualcuno. Magari questi qualcuno gioiranno, per la vendetta preventiva che, a suo tempo, venne consumata. Ché forse ne ignorano e i nomi e il numero! Del resto, anche i loro, sono solo nomi, per me. Non ne ignoro né la forma né il numero, ma resteranno solo nomi. Scoloriti.
Mi tengo, il mio colore. E i miei nomi!


Giangiacomo Feltrinelli
Luca Mantini
Giuseppe Romeo
Bruno Valli
Giuseppe Vito Principe
Giovanni Taras
Margherita Cagol
Annamaria Mantini
Mario Salvi
Martino Zicchitella
Walter Alasia
Antonio Lo Muscio
Romano Tognini
Attilio Di Napoli
Aldo Marin Pinones
Rocco Sardone
Roberto Rigobello
Francesco Giuri
Roberto Capone
Barbara Azzaroni
Matteo Caggegi
Maria Antonietta Berna
Angelo Del Santo
Alberto Graziani
Lorenzo Bortoli
Luigi Mascagni
Fabrizio Pelli
Salvatore Cinieri
Francesco Berardi
Roberto Pautasso
Giovanni Mario Bitti
Francesco Masala
William Waccher
Lorenzo Betassa
Riccardo Dura
Annamaria Ludman
Piero Panciarelli
Edoardo Arnaldi
Marino Pallotto
Claudio Pallone
Arnaldo Fausto Genoino
Walter Pezzoli
Roberto Serafini
Alberto Buonoconto
Gianfranco Faina
Roberto Peci
Giorgio Soldati
Lucio Di Giacomo
Umberto Catabiani
Rocco Polimeni
Ennio Di Rocco
Stefano Ferrari
Maurizio Biscaro
Gaetano Sava
Ciro Rizzato
Manfredi De Stefano
Laura Bartolini
Antonio Gustini
Pietro Maria Greco
Wilma Monaco
Dario Bertagna
Gino Liverani
Paolo Sivieri
Nicola Giancola
Ermanno Faggiani
Carlo Pulcini
Claudio Carbone
Sergio Spazzali
Allessandra D'Agostini
Fiorentino Conti

martedì 30 gennaio 2007

grazie Ico



Sul Blog di Ico Gattai, di cui ho già scritto a proposito del suo libro, "Mamma, dormo fuori", c'è una "Tristissima Storia". La riporto pari pari, credo ne valga la pena!

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"Un bravo tipo mi dice: scrivi un pezzo su Franco Serantini, 2000 battute, in prima persona.
Sarà pubblicato su ......... (un quotidiano nazionale).
Paranoia. Un morto che parla. Mi documento abbastanza e m'arrovello nella futura vergogna.
Qualche ricerca, qualche chiaccherata tattica e il pezzo è pronto.
Non sarà mai pubblicato, le ragioni immaginatevele voi.
Anzi lo pubblico io, ora, qui.

ANNI VENTI

Pisa 5 maggio 1972.
C’hanno arrestato in nove.
Quattro greci, due giordani e tre italiani.
A raccontarla così sembra l’inizio d’una barzelletta.
E invece no. Oggi la città è una piazza d’armi, le vie sono riempite da centinaia e centinaia di tutori dell’ordine.
Il governo ci ricorda una volta per tutte che anche qui lo Stato è lo Stato e che, costi quel che costi, il comizio elettorale del msi s’ha da fare.
Garantiscono il diritto di parola ai fascisti nel centro di Pisa: per noi è stata da subito una provocazione intollerabile.
A chi sostiene che non è un comizio fascista, a chi dice che il movimento sociale è un partito come gli altri, chiediamo: come può codesto partito avere per segretario il signor Giorgio Almirante?
Iniziano gli scontri e non c’è partita.
I lacrimogeni volano sui lungarni, arrivano anche dentro al municipio, la legge ogni tanto si piega all’emergenza e oggi loro vanno oltre le righe perchè oggi possono.
Oggi andrà male. L’onorevole Niccolai farà il suo comizio in una piazza del centro, circondato dallo scudo protettivo di centinaia di celerini in assetto antisommossa. I pestaggi abbracceranno tutto il centro storico.
Vai e massacra.
Ci sarà un morto. Io. Franco Serantini. Anarchico. Nato a Cagliari il 16 luglio 1951. Attualmente domiciliato in regime di semilibertà in un istituto di rieducazione a Pisa. Senza famiglia e senza parenti.
Pensate un po’ che poteva anche andarmi peggio, potevo morire una volta di più: domenica mattina, dopo una quarantina d’ore d’agonia, non faccio in tempo a morire che già nel pomeriggio dal carcere sono così premurosi di farmi trasferire al cimitero, ma un impiegato comunale, verificando l’assenza di permesso da parte della Procura della Repubblica come la legge impone, ha negato il nullaosta verso l’oltretomba.
Forse che il mio corpo tumefatto in ogni centimetro di superficie non era un bello spettacolo nemmeno per lorsignori, de sempre allergici al colore rosso?
Ora sono sottoterra e un morto non esce dalla fossa."


Gelidi saluti da una città in cui avevo trovato la vita.

(Ico Gattai)
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Mr. Bojangles



"Mr. Bojangles", scritta da Jerry Jeff Walker, è forse la canzone più conosciuta, e "coverata", di Ronald Clyde Crosby (che poi sarebbe il vero nome di Jerry Jeff Walker!). La si potrebbe definire come la ballata di un fannullone, alcolizzato ma talentuoso ballerino di tip tap.
Ma Jerry Jeff ha spesso interpretato anche canzoni scritte da altri. Da Guy Clark, da Rodney Crowell, da Keith Sykes, da Paul Siebel, solo per dirne alcuni, ed anche un paio scritte da un clown dei rodei: Billy Jim Baker. E, curiosamente, le due canzoni hanno anche dato il titolo ai rispettivi album che le contenevano. Una delle due è "Too Old To Change"

Troppo vecchio per cambiare
di Billy Jim Baker

Mentre le tempie si ingrigiscono
Normalmente, quando non ho voglia di radermi
Mi soffermo ad esplorare le rughe
e le guardo rotolare come fossero onde.

Sono stato troppo a lungo in viaggio per questa vita
sfrenato, e senza remore,
ho sempre creato problemi
Le belle ragazze meritano di meglio
Ma io sono troppo vecchio per cambiare

Non posso dire che io sia dispiaciuto
Per tutte le cose in cui ho esagerato
Per tutte le notti che abbiamo schiamazzato
Per non essere mai andato a letto prima dell'alba

Sono stato troppo a lungo in viaggio per questa vita
sfrenato, e senza remore,
ho sempre creato problemi
Le belle ragazze meritano di meglio
Ma io sono troppo vecchio per cambiare

Fareste meglio ad invecchiare bene
Facendo il giusto numero di flessioni al giorno
Ma a volte mi volto a guardare
e sorrido pensando a quello che dicono di me.

Sono stato troppo a lungo in viaggio per questa vita
sfrenato, e senza remore,
ho sempre creato problemi
Le belle ragazze meritano di meglio
Ma io sono troppo vecchio per cambiare

lunedì 29 gennaio 2007

weathermen



Ne è passato di tempo da quando Bob Dylan ci teneva a precisare che "non serve un metereologo, per sapere da che parte soffia il vento". E sì che lui se ne intendeva di ....soffiar di venti!
Oggi - lo ammetto - un metereologo farebbe assai comodo, invece. Anche più d'uno! Ma si sa, ahinoi, che questa è una "stagione" poco adatta ai metereologhi. E il tempo, di lasciarsi interpretare, non ne vuol proprio sapere. Di questi tempi. Ed anche il vento, quando soffia, riesce a stupire. E per la direzione, e per la temperatura. Ragion per cui, sarebbe di conforto, diversamente, almeno una volta, sentir dire dal "colonnello dell'aereonautica" di turno, che di previsioni del tempo, loro, non ci capiscono più un cazzo! Che non c'è nessun modello in grado di spiegare una bella sega...
E invece no! Sabato all'Esc, ho sentito Toni Negri illustrare un modello. L'ennesimo. Così ho saputo che il capitalismo è morto ( anche se, qui, nessuno ne ha ancora trovato il corpo dalle parti di Proxima Centauri ). Ho saputo che il "soggetto rivoluzionario" non è più il lavoratore, l'operaio, che si spende nell'ambito della produzione di plus-valore (ché anche il profitto non c'è più, ma è diventato ... rendita), bensì quel lavoratore che agisce nell'ambito della produzione del "comune", ivi compresa la casalinga. Ma non il giudice, no il giudice no! E infine ho appreso che è bene liberarsi, una volta per tutte, dall' "ultimo rigurgito di anarchia" perché i mutamenti avvengono, e possono avvenire, solo nelle istituzioni.
Credo di non aver voglia di rigurgitare. Anzi, preferirei di no!

venerdì 26 gennaio 2007

Butch



13 canzoni. War and Peace. Guerra e Pace. E la voce ancora calda e graffiante di Butch Hancock a dirci, dopo tutti questi anni che i tempi stanno ANCORA cambiando. Un disco politico, lo si potrebbe benissimo definire. E, infatti, il pezzo finale - The Great Election Day - non usa nessuna metafora nel mettere in discussione ogni tipo di autorità. La canzone giusta per essere trasmessa da "Radio Pacifica" di Amy Goodman proprio il giorno prima delle ultime elezioni!

"Se qualcuno dice, hey, questo è un album politico, tutto quello che posso rispondere è - 'Ah, te ne sei accorto?'" - ha detto Butch, 61 anni. -"C'è come un grido di libertà, per ogni dove nel pianeta. Che sia la gente o il vento, o le macchine da guerra, o i canti nelle chiese, o qualsiasi altra cosa. Tutto quanto è come se fosse un grido per la libertà, anche se nove volte su dieci essi non sanno per cosa stanno gridando. E forse è proprio quel grido, che si pensa sia per la libertà, a portarci nella direzione opposta. Forse sto facendo la stessa cosa, con questo disco. Vedremo."

Ma il disco è un piccolo grande capolavoro, tutto.
Apre una canzone tipicamente alla Hancock, una di quelle che ho imparato ad amare nei suoi primi dischi, e nei dischi dei Flatlanders. Una voce, come potrebbe essere quella di un "Bob Dylan texano". Una preghiera solenne in una vecchia chiesa, o forse il pianto di uno sciamano nel deserto, sotto le stelle.
Give them Water. Date loro da bere.

"Go find someone who's hungry, and give them food to eat
Go find someone who's homeless, and bring them in off of your street
Every man you meet's your son . . . every woman is your daughter
Go find someone who's thirsty. . . and give them water."

E poi si passa da "Cast the devils out", un inno che ha il sapore di una canzone di Woody Guthrie, a "Toast", una canzone ubriaca, con banjo e organo da chiesa, che fa ridere e rabbrividire allo stesso tempo, a "Brother won't You Shake My Hand?".
"Townes (Van Zandt) diceva sempre di non preoccuparsi del messaggio: concentrati sulla melodia" - argomenta Hancock.
"Old man, old man" non si riferisce direttamente alla guerra. Ma la canzone allude ai fondamentalisti di tutte le religioni.
Chiude, un disco senza sbavature, l'ultima traccia di cui parlavo prima. The Great Election Day. Possiamo immaginare Woody Guthrie che si toglie il cappello, con rispetto, mentre ascolta questo gioiello di canzone. Delicatamente travolgente! Come tutto il disco.

giovedì 25 gennaio 2007

nessundove



"Liberami dal nulla". E forse l'unico appunto che gli si può muovere è questo titolo italiano che non riesce a tradurre l'intraducibile. "Deliver me from nowhere". Portami via da nessundove, potrebbe suonare. Chissà. Ad ogni modo, i dieci pezzi per niente facili del libro, dichiaratamente ispirati - a partire dai titoli - a "Nebraska" di Springsteen, riescono in quel che Tennessee Jones si era prefissato: contraddire quanto affermava lo stesso "boss" in coda a "Jungleland", che i poeti si tengono alla larga da un certo tipo di vita! Il parabrezza sulla copertina del libro, diversamente da quello sulla copertina del disco, appare inondato di pioggia. A rendere ancora più cupa, togliendo quel poco chiarore, la realtà di quelle dieci canzoni. E la realtà è ancora più cruda, più scarna, anche perché la speranza, negli anni che separano il libro dal disco, non è certo aumentata. Anzi. E, diversamente da Springsteen, Tennesse Jones è nato e cresciuto nella regione degli Appalachi, il luogo per eccellenza dell’America più povera e più lontana dalle mitologie patinate. E, non per niente, Poe aveva suggerito che il banale nome di "Stati Uniti" fosse sostituito da quello di "Appalachia". Così, le storie raccontate nelle canzoni che compongono Nebraska si mescolano a nuove storie, e perfino con il vissuto dello scrittore, anche sconvolgendole, a volte, dipingendo un nuovo quadro. Da decifrare.

Tennessee Jones - Liberami dal nulla
Quarup Editrice 2006 - 13 euri

mercoledì 24 gennaio 2007

boxe



Non ho ancora visto il film di Stallone, sulla boxe. Il suo Rocky redivivo. Ma i film sulla boxe mi piacciono. Hanno qualcosa, più o meno tutti. Mettono in scena il pugilato e, di solito, riescono a colpire con l'immediatezza e la semplicità di un pugno. Ci sono riusciti un po' tutti, i film sulla boxe, in quest'operazione. Da "L'eroe della strada" fino a "Cari fottutissimi amici", dal Clint Estwood di "Filo da torcere" fino a quello di "Million Dollar Baby", da "Lassù qualcuno mi ama" fino a "Toro scatenato"! Picchiarsi, finché l'altro non crolla. Al tappeto.
Ma a colpirmi più di tutti, è stato, e continua ad essere, "Fat City" ("Città amara", in italiano) di John Huston. Il film comincia al suono della voce di Kris Kristofferson che intona "Sunday Mornin' Comin' Down". La città grassa (o amara) è Stockton. La protagonista. Alberghi squallidi e disoccupazione. Disperazione e angoscia. Perdenti, sempre sul punto di arrendersi. Nessuna ascesa e caduta.Niente del genere, solo il vivere quotidiano alla luce di una promessa mai onorata, quella della boxe. Vista non più, semmai è avvenuto, come un riscatto, ormai quasi impossibile, ma come un'alternativa ad un lavoro assai più squallido, anche se meno spietato. Dove l'avversario è invincibile ed ha molti nomi: alcool, affitto, mogli, figli. Esistenza, in una parola. E questa quando ti atterra, non ti rialzi più!


IL PICCHIATORE
di Bruce Springsteen

Vieni alla porta, mamma, e togli il chiavistello.
Passavo qui vicino e mi ha sorpreso la pioggia.
Non voglio niente da te, e non c'è bisogno che tu dica niente.
Permettimi di riposare un poco, e poi me ne andrò per i fatti miei.

Ero solo un bambino quando mi imbarcasti sulla Southern Queen.
Arrivai a New Orleans con la polizia alle calcagna.
Da allora ho combattuto nei docks del porto per i soldi che ho guadagnato.
Ed il combattimento era la mia casa ed il sangue la mia "bottega".

Baton Rouge, Ponchatoula e Lafayette.
Mi hanno pagato la luna, mamma, per mettere l'uomo al tappeto.
Ho fatto quel che ho fatto, ed era maledettamente facile farlo, per me.
Per quanto ne so, mamma, pietà e misericordia non mi appartengono.

Mi sono battuto contro Jack Thompson in un campo pieno di fango.
La pioggia colava attraverso il tendone e si mischiava al nostro sangue.
Al dodicesimo round, ho fatto scivolare la lingua sul mio labbro spaccato.
Ed il suo corpo, sotto i miei colpi, è crollato sul terreno.
E il gong ha suonato ed ha suonato, e lo sento ancora.
Come ho sentito il mio guantone che si infilava fra la sua pelle e l'osso.

E le donne ed il denaro sono arrivati velocemente ed ho perso il senso dei
giorni.
Le donne rosse, i soldi verdi, ma i giorni erano neri.
Ho combattuto per far perdere la scommessa a degli uomini in calzoncini
di seta.
Ho avuto la mia parte, mamma, e non ho rimpianti.

Truccai l'incontro con big diamond don allo "state armory"
Vidi me stesso cadere giù dalle vette del ring
Lui alzò le braccia al cielo, lo stomaco mi si contorceva, ed il cielò diventò nero.
Incassai la mia borsa con tutti quei bei soldi, mamma, e non mi sono più
voltato indietro.
Alla fine, ogni uomo gioca il suo gioco - capisci mamma?
Se conosci qualcuno che sia diverso, allora fammi il suo nome.

Mamma, se adesso non riconosci la mia faccia
apri la porta e guarda fin dentro i tuoi occhi scuri.
Non ti chiedo niente, non un bacio, non un sorriso.
Apri solo la porta e lasciami riposare un poco.

Fuori cade una pioggia grigia ed io ho finito con il ring.
Così, ora, nei campi di lavoro e nei vicoli, affronto chi ci vuol stare.
"Se credi di essere un uomo migliore di me, allora oltrepassa la linea.
Mostrami i tuoi soldi e racconta il tuo delitto."
Non c'è niente che io voglia, mamma, non devi dire niente.
Lasciami riposare un poco, e poi me ne andrò per i fatti miei.

Stanotte nel mattatoio un uomo traccerà un cerchio per terra nella polvere.
Io andrò al centro del cerchio e mi toglierò la camicia.
Studierò le sue ferite, le cicatrici, il dolore che il tempo non cancella.
Farò uno scatto a sinistra e lo colpirò al viso.

martedì 23 gennaio 2007

La strada non ha fine



La strada non ha fine
Così come la esegue Joe Ely nell'album "Love and Danger".
E' la cover di una canzone originariamente scritta da Robert Earl Keen.


Sherry faceva la cameriera nell'unico locale che c'era in paese.
Aveva la reputazione di "ragazza che era stata in giro".
Sulla strada principale dopo mezzanotte, con un pacchetto nuovo di sigarette,
una sigaretta che penzolava dalle labbra, una lattina di birra stretta fra le gambe.
Guidava fino al fiume, per incontrarsi con i suoi amici.
La strada continua sempre e la festa non finisce mai.

Sonny era un solitario, il più vecchio del gruppo.
Voleva andare in Marina, ma alla visita lo avevano scartato.
Così andava a zonzo per il paese, vendendo un po' di marijuana.
La legge aveva avuto una soffiata e un giorno l'avevano arrestato.
Ma non appena l'ebbero rimesso fuori, lui era tornato ai suoi affari.
La strada continua sempre e la festa non finisce mai.

Sonny giocava a biliardo nel locale dove lavorava Sherry
Quando qualcuno che aveva bevuto troppo cercò di allungare le mani con Sherry
Sonny mise via la stecca e sbattè fuori per strada l'ubriaco
Poi infilò un dollaro nel reggiseno di Sherry, e uscì dalla porta.
Lei gli corse dietro per prendergli la mano
La strada continua sempre e la festa non finisce mai.

Saltarono sul suo furgone, e Sonny accese il motore.
Sonny guardò Sherry e disse "Andiamocene via di qui".
Le stelle splendevano alte sopra di loro, ad est c'era la luna.
Quando raggiunsero Miami Beach, il sole li illuminava.
Presero una stanza in un albergo sulla spiaggia, e un quarto di Gin Bombay.
La strada continua sempre e la festa non finisce mai.

Presto finirono i soldi, ma Sonny conosceva un uomo
che conosceva dei rifugiati cubani, dediti al contrabbando.
Sonny incontrò i cubani in una casa appena fuori città,
con una valigia piena di soldi e con una pistola nascosta nello stivale.
La droga era sul tavolo quando fece irruzione la polizia.
La strada continua sempre e la festa non finisce mai.

I cubani afferarono i soldi, Sonny afferrò un crick,
spaccò la finestra del bagno, e si fiondò fuori dal retro.
Sonny guidò il furgone attraverso il vicolo fino a dove
c'era un poliziotto che lo ammanettò e gli lesse i suoi diritti.
Lei scese nel vicolo con un colpo solo nel fucile a canne mozze.
La strada continua sempre e la festa non finisce mai.

Lasciarono il poliziotto steso per terra, e cominciarono la loro fuga.
Tornarono al motel appena prima che spuntasse l'alba.
Sonny le diede tutti i soldi e un lieve bacio.
"Se ti dovessero chiedere come è andata, dì loro che ti ho costretto".
Lei si fermò a guardare le luci posteriori che sparivano dietro la curva.
La strada continua sempre e la festa non finisce mai.

La strada principale del paese, proprio come era prima,
ventuno mesi più tardi, Sherry entrò nella drogheria.
Comprò un giornale e e una confezione di birre da sei.
I titoli dicevano che Sonny sarebbe finito sulla sedia elettrica.
Lei accellerò tornando indietro, lungo la strada principale, alla guida della sua nuova Mercedes
La strada continua sempre e la festa non finisce mai.

lunedì 22 gennaio 2007

fra lastrada e la7


(nella foto: Alfredo Bandelli)

Il fine-settimana volge al termine, e se ne continuano a vedere di cose. Il tributo a De André, caduto "finalmente" sotto le grinfie della Fondazione (De André, non Hari Seldon!) è riuscito, altrettanto "finalmente", a dare il peggio di sé. Ammetto di essermi "perso" la prima serata, quella di venerdì, anche perché non mi riesce di condividere la speranza di "un altro mondo possibile", in cui tocchi rimanere quattro ore in piedi a sudare come un maiale per il caldo soffocante, senza quasi nemmeno potersi muovere. Ma la seconda serata, quella di sabato, ha evidenziato l'andazzo. Una prima parte, con un'infornata di "stelle" da star male. E si vede subito la differenza. I Ratti della Sabina, poi un gruppo jazz che vocalizza senza pietà. Masticano e sputano, fino a farmi rimpiangere Mina. Che è tutto dire! Seguono altri, ora non sto nemmeno più a ricordarli, che il cervello ha dei meccanismi di difesa formidabili! Ricordo una "preghiera in gennaio", fra il cantato e il recitato, da augurare che il morto venga seppellito in tutta fretta. Poi Edoardo de Angelis (spero di aver sbagliato il rapporto maiuscole/minuscole) che dopo aver parlato "la domenica delle salme" (ha avuto coraggio di dire di "voci adatte per il vaffanculo", ma forse è solo faccia tosta), ci ha informati a proposito di "quanto stiamo bene", ora che abbiamo il governo prodi. E tutto è avvenuto, pensate un po', per una preghiera che lui, che di preghiere non ne fa, ha formulato il giorno delle elezioni. Che culo!
Per fortuna la serata ha avuto un'impennata, con "La Terza Porta", che ha regalato una versione stupenda di "Quello che non ho". Poi i Verba Manent, con Una Zirichiltaggia che nessuno ha mai avuto il coraggio di fare. Stupenda, fra chitarre e violino. Poi Maurizio e Massimiliano e Davide. La fondazione G.. Naturalmente l'ensemble finale del "Pescatore"non avvertiva la mancanza dei De Angelis e compagnia bella, ché, finiti di esibirsi, si erano squagliati subito!
Poi stasera, domenica, torno a casa e accendo il televisore su la7 per assistere ad un piccolo (in tutti i sensi) dibattito fra Sanguineti, Segio e Pezzotta. Accidenti al meglio! Sindacalista ed ex-terrorista (come aveva ragione Gaber sull'ex!) cercano in tutti i modi di convincere della "mancanza di bontà dell'odio". Tutt'al più il conflitto (da comporre, però) o l'indignazione, che politicamente non guasta mai. Lo stalinista Sanguineti si sbraccia a dire che lui, l'odio, ai tempi, lo provava contro i terroristi, perché ama la democrazia, e anche lo stato - mi vien da dire. Però i "ragazzetti di tien-an-men" si so' fatti ammazzare per la coca-cola (dimentico dell'auto e della discoteca), almeno così dice il poeta (Sanguineti)!! Solo una considerazione, mi viene, e forse non c'entra niente con gli astanti.
La considerazione che ... chi è abituato a soffocare il proprio odio (da cui nessuno è esente), si esercita a soffocare, in modo altrettanto efficace, l'amore (da cui nessuno è esente). Ma il vero obiettivo dell'esecuzione sommaria rimane la passione. Quella che attiene ad Oreste Scalzone, e di cui i Segio sembrano oramai del tutto tristemente privi.

venerdì 19 gennaio 2007

Lucio



Lucio Urtubia, l'anarchico irriducibile (come lo definisce la bella biografia, scritta da Bernard Thomas), nasce "tardi", nel 1931. Il padre, segretario del sindacato socialista UGT ai tempi della guerra civile spagnola, gli fornirà con le sue parole ("Se dovessi tornare a cominciare, sarei anarchico") la direzione da seguire. E la direzione sarà la Francia, la Francia che serviva da base per la resistenza anti-franchista, la resistenza di Francisco Sabaté. "El Quico" resterà il modello da seguire, e da cui imparare. Ladrones privados contra ladrones de Estado! Gli rimarrà una mitragliatrice Thompson, in eredità.
Lo arresteranno molto tardi, nel 1980. La polizia francese ricerca un falsario, il maggior falsario del dopoguerra. Uno che aveva sparso per tutto il mondo traveller's cheque falsi. E, quasi per caso, ferma un sospetto. Ma non riescono a credere che l'uomo che ha sfidato la più potente banca nordamericana sia un semplice muratore. Un operaio che si alza tutte le mattine per andare a lavorare. "Mi trattarono da disonesto, però io dissi loro molto chiaramente che i ladri sono le banche; noi, la sola cosa che cerchiamo di fare è quella di ristabilire un po' di equilibrio."
Oggi Lucio continua a lavorare e cerca di aiutare la "causa" occupando edifici abbandonati, ristrutturandoli per chi ne ha bisogno. A Parigi.

giovedì 18 gennaio 2007

Oreste



Mi è rimbalzata addosso, da tutte le parti, la notizia. Prima da un amico, che l'aveva sentita sul tg3. Poi è emersa sul sito di "repubblica". E stasera era su tutti i telegiornali! La notizia era, è, ormai certa. I reati sono prescritti, quali che essi siano, Può tornare in Italia. E poi, mentre mi chiedevo se poteva decidere, o meno, di tornare, ecco che dal "corriere della sera" è emersa l'affermazione del ritorno. Tornerà, a voce spiegata, a continuare a combattere. Diversamente non mi riesce nemmeno di immaginarlo. Non mi riesce neppure di pensarlo, inerte. Penso, invece, alla sua casa, vicino ai vecchi mercati di les halles. Che non ci sono più. Hanno lasciato il posto allo scintillante beaubourg. Penso alla sua casa, con la combinazione numerica per aprire il portone, per poter salire quelle scale. Una casa zeppa di carta, di tutto. Un caffé in mezzo ai fogli, e l'accordéon da una parte, pronta. La casa, rimessa a posto, per quanto possibile da Lucio Urtubia. Urtubia, l'uomo che mise in ginocchio la first national citybank, con un paio di cliché, e con la dignità dell'operaio. Roba d'altri tempi! Come Oreste, come Lucio. Già, gli "altri tempi", e le cicatrici che lasciano addosso. Cicatrici profonde, come quelle che lascia la musica. La fisarmonica e la voce. Ma non per cantare "addio a Lugano". No, la voce che risuona nelle mie orecchie è quella che intona "albergo a ore" di Herbert Pagani. Chissà mai perché, poi! Chissà perché penso a Lucia, che si rimette in viaggio. Per amore.
E cos'altro vale, a questo mondo? Per Oreste, per Lucio, per chi non c'è più e per chi rimane ......

mercoledì 17 gennaio 2007

A casa ... a Houston



Steve Earle, da giovane country-rocker americano poteva essere definito una promessa. Siamo nell’86 e se ne esce, a soli 21 anni, con un Guitar Town immaturo, ma pieno di grinta e calore. Chitarre in evidenza e ritmiche vivaci, ma una solida base da story-teller. Nato in Virginia ma cresciuto in Texas e da sempre identificato come texano. Le canzoni sono tutte sue e i Dukes, che lo accompagnano, mettono in mostra anche pedal steel e mandolino, oltre alla normale strumentazione rock. In precedenza, il suo vero debutto su vinile è comunque in un disco storico: il mitico Old n.1 di Guy Clark, registrato a Nashville, dove suona la chitarra e fa da seconda voce. Vista la sua permanenza in Tennessee in quel periodo, rientra anche nel film Nashville di Altman, dove però è solo uno tra la folla. Exit O e Copperhead Road (1987 e 1988) confermano il buono che si dice di lui, anche se Copperhead road segna una decisa svolta verso il rock per il ragazzo che, a quel punto, ha venduto oltre un milione di copie dei suoi dischi, ha avuto 4 nomination ai Grammy’s ed è stato scelto come artista country dell’anno da Rolling Stones per il 1986. La svolta rock di Steve fa meno rumore di quella di Bob Dylan. Anche l’album successivo, Hard Way del 1990, già dal titolo tradisce la sua deriva rock. Poi iniziano i problemi con la droga che lo portano alla rottura del contratto discografico con la MCA che l’ha prodotto fin lì. La lunga crisi creativa, durata quattro anni, gli farà varcare anche la soglia della prigione, per detenzione di stupefacenti. Verrà rilasciato nel ’94, sulla parola, dopo aver partecipato a un programma di riabilitazione. Dobbiamo aspettare fino al 1995 per celebrarne la resurrezione artistica, ma, a questo punto, il rocker non c’è più. O meglio, c’è, ma in fondo. Train A comin’ è un album di soffici ballate avvolgenti, acustiche, più vicino al folk contemporaneo, più all’americana che al country. Il disco è edito da una piccola etichetta. È cambiata anche la voce, più calda, più scura. I brani sono sempre suoi tranne un tributo a Lennon-McCartney (I’m looking through you), uno a Townes Van Zandt (Tecumseh Valley) e la vecchia River of Babylon. Da lì in poi una serie di dischi capolavoro, uno dopo l’altro, con pochissime sbandate, tutti editi per la propria neonata casa discografica, la E-squared: I feel alright, El corazón, The Mountain (un disco di bluegrass con la Del McCoury Band), Trascendental blues (questo non è tra i miei preferiti), Jerusalem e The revolution starts... now, questi ultimi due sono invece due pietre miliari.E nell'ultimo c'è questo “Home To Houston”. E' un folk rock di quelli che ti prendono fin dal primo ascolto, grande melodia ritornello killer e tanto, tanto ritmo.Da camionista!

A casa a Houston
di Steve Earle

Quando mi tirai fuori da Basfra, loro mi augurarono buona fortuna
Proprio come avevano sempre fatto prima quando giravo
Con una rete antiproiettile sul cofano del mio camion
E un Bradley** a farmi da scorta
Ed io lo caricavo e lo scaricavo
e offrivo questa preghiera al mio signore
Dicevo "Dio riportami vivo a casa
e non guiderò mai più un camion"

Di mattina presto, correndo come un matto
trasportavo novemila galloni di gas letale
Il sergente alla radio mi urlava
Stai all'erta che loro sono davanti a te
Se mai tornerò vivo ad Houston
non guiderò mai più un camion

Ho guidato veicoli pesanti per tutta la vita
ed il mio nome in codice è "Treno"
Giù per le ripide strade di montagna dentro la più scura delle notti
Scorreva acqua gelata dentro le mie vene
E riuscivo ad arrivare fin lì perchè me ne fregavo
Ora sono più vecchio e di gran lunga più saggio
E se mai dovessi tornare vivo ad Houston
Allora non guiderò mai più un camion

Dio grande e potente cosa hai fatto di sbagliato con me?
So che i soldi vanno bene ma, amico, non vedi?
Non puoi portarteli dietro, e questa non è una bugia
Non voglio che mi prendano, sono troppo giovane per morire
Se mai dovessi tornare vivo ad Houston
Non guiderò mai più un camion.

** Bradley : Mezzo cingolato americano

martedì 16 gennaio 2007

musica



La musica di De andré continuerà a vivere nelle generazioni future, oppure non continuerà.
E tutto ciò accadrà, o non accadrà, a dispetto di qualsiasi celebrazione, strada intitolata o antologia di scuola media. Accadrà finché sara carne viva e sangue. Finché qualcuno cercherà di cantare le sue canzoni allo stesso modo e per gli stessi motivi per cui erano state composte. Una frase su uno striscione, scritto male, con bombolette spray, in cima o in fondo ad un corteo. Un megafono che diffonde la canzone del maggio, mentre qualcuno cerca disperatamente di rivivere un altro maggio e un'altra primavera.
E' l'unico modo per non essere infilzati da uno spillone, e da chiunque e per qualsiasi motivo lo spillone venga brandito.


Al Centro Sociale La Strada in Via Passino 24 -Garbatella - Roma Tel 06.51607784

4° Tributo a Fabrizio De André
“Libertà l’ho vista svegliarsi ogni volta che ho suonato...”
2 giorni di musica, poesia e ribellione. Dalle ore 22.00.

VENERDI’ 19 GENNAIO ‘07

ROSSOMALPELO
RAZMATAZ
VINCENZO POMPONI
FEDERICO PALLADINI
FABRIZIO MOZILLO &
I SERVI DISOBBEDIENTI
CARLO GHIRARDATO
MARCO BELLOTTI
REIN
LA MALAREPUTAZIONE

SABATO 20 GENNAIO ’07

I RATTI DELLA SABINA
KAY MC CARTHY
BUNGARO
VIOLA SELISE
EDOARDO DE ANGELIS
LUIGI SALERNO
MASSIMILIANO D'AMBROSIO
FONDAZIONE G.
VERBAMANENT
LA TERZA PORTA

lunedì 15 gennaio 2007

graffiti



Con ogni probabilità, non scoppierà nessuna rivolta, a Londra, come quella scoppiata un anno fa nelle "banlieu" parigine! Eppure due ragazzi sono morti, nella metropolitana, schiacciati da un treno, mentre cercavano (e per) sfuggire agli agenti che volevano arrestarli.
Spruzzavano colore sui muri della stazione!
E questo in Inghilterra, e non solo, viene classificato come un "reato contro l'ambiente" e prevede pene tanto severe quanto esemplari. Nella crociata anti-spray, l'Inghilterra di Blair è all'avanguardia (la polizia entra perfino nelle classi scolastiche, a fotografare e sequestrare i quaderni con gli scarabocchi dei ragazzi, al fine di costruire un enorme database per poter individuare i futuri "artisti-criminali"), ma sembra che anche la nostra bella italietta non voglia essere da meno: Walter-sindacodiRoma-Veltroni ha proposto la schedatura di chi acquista bombolette spray (i negozi devono fare i nomi) e Letizia-sindacodiMilano-Moratti ha promesso di intervenire a più livelli. Ah, naturalmente, sarebbero di schieramenti politici opposti (così dicono)!

roadmarks



Roadmarks, il titolo di un libro di Roger Zelazny, tradotto in italiano come "Strada senza fine". Un romanzo di fantascienza, curioso nel suo genere. Cominciava, e finiva, con lo strano protagonista occupato a viaggiare, alla guida di un pick-up carico di fucili mitragliatori, lungo un'improbabile autostrada. Destinazione: Termopili. Per Leonida, prima dell'inizio della battaglia.
Come dire, un'altra possibilità. Un risarcimento. Un modo per fermare il tempo andato, e rivoltarlo. Azzerarlo, in qualche modo. E questo desiderio, credo sia un'ombra che comincia presto ad accompagnarci, senza lasciarci mai più. Parla del "rimettere le cose a posto", del bisogno e dell'impossibilità di farlo. Mormora, o urla, un "non è giusto!" e stringe i pugni, a sbiancare le nocche. E sogna autostrade, lungo le quali correre, col proprio carico, guardando sfilare la segnaletica che annuncia uscite inedite verso cui viaggiare...

venerdì 12 gennaio 2007

Claude Dallas



Claude Dallas, nato nel 1950. Un montanaro che, nel 1981, uccise due "game wardens"(più o meno, l'equivalente delle guardie forestali) della contea rurale di Owyhee, Idaho.
Conley Elms e Bill Pogue, due guardie del Dipartimento di Pesca e Caccia dell'Idaho, avvicinarono Dallas per sospetta caccia di frodo. Secondo Dallas, mentre Elms stava per uscire dalla tenda che conteneva trappole per la caccia di frodo, Pogue estraeva la pistola. Dallas reagì sparando a Pogue con la propria rivoltella. Quando Elms fu uscito dalla tenda, Dallas sparò anche a lui. Dopo la sparatoria iniziale, Dallas usò il suo fucile calibro 22 per sparare in testa a ciascuna delle guardie. Poì gettò il corpo di Elms nel fiume che scorreva vicino e, con l'aiuto riluttante di un amico, Jim Stevens, trasportò il corpo di Pogue dal luogo della sparatoria, nascondendolo nella tana di un coyote. Stevens non testimoniò sulla sparatoria, ma depose dicendo che aveva visto Dallas sparare alla testa delle guardie, mentre giacevano per terra. Dallas fuggì dal luogo del delitto e venne trovato solo dopo una gigantesca caccia all'uomo.
L'accusa che gli venne mossa fu per due omicidii di primo grado, ma quasi subito cominciò a venir fuori la presunta aggressività di una delle vittime, Pogue. Il processo portò la giuria a giudicare Dallas colpevole di accuse minori: di omicidio preteruntenzionale e dell'utilizzo di armi per commettere un crimine. Almeno un giurato fece riferimento al fatto che Dallas aveva agito in stato di legittima difesa quando aveva sparato a Pogue.
Molti furono sgomenti per il verdetto, soprattutto alla luce dei colpi sparati ala testa, in stile esecuzione. Il giudice apparentemente condivise tali sentimenti e condannò Dallas a 30 anni, il massimo per quell'accusa.
Dallas evase dal Penitenziario di Stato dell'Idaho nel 1986, e rimase latitante per quasi un anno. La sua fuga alimentò la leggenda che fosse un cacciatore nomade il cui stile di vita confliggeva con il governo. Venne arrestato a Riverside, California, nel marzo del 1987. Non gli venne applicata nessuna pena addizionale per evasione, come comunemente avviene, in quanto la corte sentenziò che era evaso in un tentativo disperato di auto-conservazione, per evitare violenza e minacce dalle guardie carcerarie.
Dallas è rimasto 22 anni in prigione. La sua pena è stata ridotta di otto anni, per buona condotta. E' stato rilasciato nel febbraio del 2005.
Nel 1986, è stato realizzato un film per la TV americana, diretto da Jerry London e interpretato da Matt Salinger. Credo che il film non sia mai arrivato in Italia, su nessun media.
Ma questa è la bellissima canzone che Tom Russell ha scritto, sempre nel 1986, sulla storia di Claude Dallas:

Claude Dallas
di Tom Russell

In una terra che gli Spagnoli una volta
chiamavano il Mistero del Nord,
dove i fiumi scorrono e scompaiono
ed i cavalli vivono ancora liberi,
fra il salto del Diavolo e il buco del Coyote
nel selvaggio Owyee Range,
da qualche parte nella foresta, stanotte,
il vento sta chiamando il suo nome.
Aye, aye, aye.

Venite tutti intorno a me, cow-boys
e vi racconterò la storia:
Claude Dallas, il fuggiasco
che evase dalla prigione.
Potreste pensare che questo racconto sia una storia
di quando l'Ovest non era ancora stato conquistato
Ma i fatti che sto per narrarvi hanno avuto luogo
nel mille-novecento-ottantuno.

Era nato in Virginia,
Andò via di casa quando finì la scuola,
nel deserto del Nevada
diventò un mandriano
imparò a guidare il bestiame
imparò a cavalcare.
Portava sempre una pistola
ed era mortalmente forte.

Poi Claude divenne un cacciatore
Sognava dei giorni andati
Studiava la logica delle trappole
Per strade selvagge e silenziose
Nelle fughe sanguinose vicino al paradiso
Pensando alle guardie giù a sud
Intrappolando coyote e gatti selvatici
Vivendo alla giornata.
Aye, aye, aye

Poi Claude cominciò a vivere in completa solitudine
A molte miglia dalla più vicina città
Un amico, Jim Stevens, gli portava le provviste
e rimaneva un po' con lui.
Quel giorno due guardie, Pogue ed Elms,
vennero a controllare Claude.
Erano in cerca di reati
e per vedere cosa faceva Claude.

Ora, Claude aveva appeso della carne di cervo ad essiccare
Aveva un paio di tagliole
Pogue proclamò che erano fuori stagione
Disse, "Dallas, sei finito."
Ma Dallas non voleva lasciare il suo accampamento.
Rifiutò di andare in città.
Il vento urlò attraversando il campo,
e ciascuno guardò l'altro negli occhi.

E' difficile poter dire cosa accadde poi.
Forse non lo sapremo mai.
Stavano per portare Claude in prigione,
e lui giurava solennemente che non ci sarebbe mai andato.
Jim Stevens udì lo sparo
e quando si girò
Bill Pogue stava cadendo all'indietro.
Conley Elms, lui cadde bocconi.
Aye, aye, aye.

Jim Stevens tornò sui suoi passi.
C'era una pistola accanto alla mano di Bill Pogue.
E' difficile dire chi avesse estratto per primo
Ma Claude aveva fatto resistenza
Claude disse, "Mi sono difeso, Jim.
Loro stavano per abbattermi,
Un uomo ha il diritto di appendere della carne ad essiccare
quando vive così lontano da qualsiasi città."

Ci vollero diciotto uomini e quindici mesi
per riuscire a catturare Claude.
Nella foresta appena fuori dal paradiso
lo catturarono
Giudicato colpevole in Idaho.
Omicidio preterintenzionale, la sentenza.
Trent'anni al massimo.
Ma presto Claude sarebbe evaso, libero.

Questa è una storia con due facce
Che non sono Giusto o Sbagliato.
L'uomo di legge e il rinnegato
hanno fatto parte di mille canzoni
Per cui la storia è una storia vecchia
DIfficile trarne una conclusione.
Ma Claude stanotte è la fuori nella foresta.
Potrebbe essere l'ultimo fuorilegge.
Aye, aye, aye.

In una terra che gli Spagnoli una volta
chiamavano il Mistero del Nord,
dove i fiumi scorrono e scompaiono
ed i cavalli vivono ancora liberi,
fra il salto del Diavolo e il buco del Coyote
nel selvaggio Owyee Range,
da qualche parte nella foresta, stanotte,
il vento sta chiamando il suo nome.
Aye, aye, aye.

giovedì 11 gennaio 2007

canzoni in bianco e nero



Chris Knight è uno che racconta storie. E le racconta bene, quasi a fartele toccare con mano. E' una decina d'anni che le racconta, le suona e le canta. Ogni canzone, un film. In bianco e nero. Come la copertina del suo ultimo disco. Come la storia cantata nella canzone che dà il titolo al disco. Abbastanza corda!
Volendo, gliela si può vedere e sentire cantare qui:
click


Abbastanza corda - Chris Knight

Lavoro per un costruttore nella città dove sono nato
Certi giorni guido una ruspa, oppure un autoribaltabile
Se avevo altri progetti nei giorni del liceo,
allora è segno che molti anni fa li ho buttati tutti via.
Sì, li ho buttati tutti via.

Lei mi disse che era incinta proprio il giorno in cui compivo 18 anni
E feci quello che immaginate potevo fare. Le comprai un anello.
Non c'era bisogno che lui ce lo chiedesse, ma ce lo domandò comunque.
Ci alzammo in pedi per dire, "lo voglio". Cos'altro potevamo dire?
Cos'altro potevamo dire?

Ringrazio il cielo per le cose che ho,
e tutte le cose che non ho.
E coltivo sogni che si avvereranno,
e sogni che non si avvereranno.
Per lo più mi limito a rigrare dritto, dovunque mi porti.
Dal momento che non puoi impiccarti se non hai abbastanza corda.

Il mio capo è pazzo. Io mi limito a fare quello che lui mi chiede di fare.
Ho falciato il prato del tribunale, guardando i detenuti che passavano
Sono contento di avere un lavoro, piuttosto che portare catene.
Come mio cugino Willy, lui sta scontando i lavori forzati.
Lui sta scontando i lavori forzati.

Ringrazio il cielo per le cose che ho,
e tutte le cose che non ho.
E coltivo sogni che si avvereranno,
e sogni che non si avvereranno.
Per lo più mi limito a rigrare dritto, dovunque mi porti.
Dal momento che non puoi impiccarti se non hai abbastanza corda.

C'è una bettola accanto all'autostrada, ci vado a bere qualche birra.
Mi serve a buttar giù tutto quello che mi sono perso, ciondolando da queste parti.
Poi guido fino alla mia roulotte; a consolarmi con mia moglie.
Bacio i bambini che dormono, e continuo con la mia vita.
Sì, continuo con la mia vita.

mercoledì 10 gennaio 2007

un gatto rosso di nome "Amico"



Maledetti, quelli del "buscadero". Maledetti, che non hanno mai perso il loro ancor più maledetto vizio! Quello di recensire dischi che non esistono, non ancora. Un mese e, a volte come in questo caso, addirittura due mesi prima. Uscirà solo fra due mesi. Bene che vada uscirà il 27 febbraio, e il caro Carù giù a parlarne, come se niente fosse. Come se il cd fosse nelle sue mani, a girare sul suo impianto stereo. E magari, come al solito, è solo un nastro. Un demo. Ma tant'è!
Fatto sta che se, nel panorama musicale, qualcuno mi manca davvero da parecchi anni oramai, questo qualcuno è proprio Ry Cooder. Ma non il Cooder produttore di "Buena Vista Social Club", o il Ry Cooder dei dischi "etnici" come "mambo sinuendo", o quello dell'ultimo "Chavez Ravine", disco colto e lucente ma troppo complicato, alle mie povere orecchie. No, mi manca quello di "Boomer's story", quello di "Chicken Skin Music" e quello di "into the purple valley". Dischi immediati, di quell'immediatezza e freschezza che adesso sta facendo la fortuna del "boss" Springsteen. Meritatamente.
Ma adesso il disco c'è, quando ci sarà, il disco di Cooder. Per farlo, ha chiamato vecchi amici e compagni. Pete e Mike Seeger, Flaco Jimenez, Paddy Maloney dei Chieftains. E ancora Jim Keltner e Van Dyke Parks. Ma anche Terry Evans e Bobby King, oltre al proprio figlio, Joachim Cooder. Un disco folk, con incursioni nel tex-mex, nel blues e nel rock. Canzoni. "Tre accordi e la verità", sì, sembra ci sia anche una canzone con questo titolo. Ci sta bene, in un disco raccontato da un gatto rosso di nome "Buddy". Un disco fatte di canzoni nuove, ma antiche, costruite su melodie tradizionali e in mezzo, ben nascoste, due vecchie canzoni suonate come se fossero nuove. Ma il risultato non cambia, non può cambiare. Allegria e malinconia, mischiate insieme, Ruvido e delicato, allo stesso tempo come è il folk. Come è la vita. Quella che c'è, e quella che manca. A volte sì, altre no. Ma quando torna, ti fermi a guardarla negli occhi, e lasci che ti riempia il cuore e le orecchie. Come un vecchio amico. Come un gatto che ti si strofina contro, facendo le fusa. Un gatto di nome"Amico", come quello che mi aveva gratificato della sua amicizia, tanto tempo fa. Non si chiamava così, forse un nome non l'aveva nemmeno, ma io lo chiamavo Amico.

martedì 9 gennaio 2007

un modo di guardare, e di vedere!



il testo della conferenza tenuta da Mario Tronti al convegno internazionale "Historical Materialism 2006. New Directions in Marxist Theory", Londra 8-10 dicembre 2006

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Intanto, che cos’è “operaismo”. E’ un’esperienza che ha cercato di unire pensiero e pratica della politica, in un ambito determinato, quello della fabbrica moderna. Alla ricerca di un soggetto forte, la classe operaia, in grado di contestare e di mettere in crisi il meccanismo della produzione capitalistica. Sottolineo il carattere di esperienza. Si trattava di giovani forze intellettuali che si incontravano con le nuove leve operaie, introdotte soprattutto nelle grandi fabbriche dalla fase taylorista e fordista dell’industria capitalistica. Quello che era avvenuto negli anni Trenta in Usa avveniva negli anni Sessanta in Italia. Il contesto storico era proprio quello degli anni Sessanta del Novecento. In Italia, c’è in quel periodo il decollo di un capitalismo avanzato, il passaggio da una società agricolo-industriale a una società industriale-agricola, con uno spostamento migratorio di forza-lavoro dal sud contadino al nord industriale.
Si disse: neocapitalismo. Produzione di massa-consumi di massa modernizzazione sociale con welfare State modernizzazione politica con governi di centro-sinistra, democristiani più socialisti mutamento di costume, di mentalità, di comportamento. Si andava verso il ’68 Che in Italia sarà ‘68-’69, contestazione giovanile più autunno caldo degli operai, quando ci fu un forte cambiamento del rapporto di forza tra operai e capitale, con il salario che andò a incidere direttamente sul profitto. E questo poté avvenire, anche perché c’era stato l’operaismo, con il richiamo alla centralità della fabbrica, alla centralità operaia, nel rapporto sociale generale.
L’operaismo è dunque stata un’esperienza politica che ha contato storicamente, cioè in una situazione storica determinata.
Si trattava di dare una nuova forma, teorica e pratica, alla contraddizione fondamentale. Questa veniva individuata all’interno stesso del rapporto di capitale, quindi nel rapporto di produzione, quindi in quello che chiamavamo “il concetto scientifico di fabbrica”. Qui l’operaio, collettivo, aveva potenzialmente, se lottava, se organizzava le sue lotte, una sorta di sovranità sulla produzione. Era, o meglio, poteva diventare, un soggetto rivoluzionario.
La figura centrale era l’operaio di linea, l’operaio alla catena di montaggio, nell’organizzazione fordista del processo produttivo e nell’organizzazione taylorista del processo lavorativo. Qui l’alienazione del lavoratore toccava il suo livello massimo. L’operaio non solo non amava, ma odiava il suo lavoro.
Il rifiuto del lavoro diventava un’arma mortale contro il capitale. La forza-lavoro, in quanto parte interna del capitale, capitale variabile distinto dal capitale costante, facendosi autonoma, si sottraeva alla funzione di lavoro produttivo, impiantando una minaccia nel cuore del rapporto capitalistico di produzione.
La lotta contro il lavoro riassume il senso dell’eresia operista Sì, l’operaismo è un’eresia del movimento operaio. Bisogna considerarlo rigorosamente dentro la grande storia del movimento operaio, non fuori, mai fuori. Una delle tante esperienze, uno dei tanti tentativi, una delle tante fughe in avanti, una delle tante generose rivolte e una delle tante gloriose sconfitte.
Noi, seguendo l’indicazione di Marx, che studiava le leggi di movimento della società capitalistica, andavamo a studiare le leggi di movimento del lavoro operaio. Le lotte operaie hanno sempre spinto in avanti lo sviluppo capitalistico, hanno costretto il capitale all’innovazione, al salto tecnologico, al mutamento sociale. La classe operaia non è classe generale. Così l’hanno voluta rappresentare i partiti della Seconda e della Terza Internazionale. Era giusta la frase di Marx: il proletariato, emancipando se stesso, emanciperà tutta l’umanità. Questo processo è già avvenuto, limitato al solo Occidente. Se emancipazione è progresso, modernizzazione, benessere, democrazia, tutto questo c’è, ma tutto questo è servito a una grande rivoluzione conservatrice, a un processo di stabilizzazione del sistema capitalistico, che oggi, com’era nella sua vocazione originaria, assume la dimensione dello spazio-mondo, ordine mondiale di dominio che scende dall’alto dell’Impero, ma sale anche dal basso, introiettato in una mentalità borghese maggioritaria.
I sistemi politici democratici sono oggi la tribuna del libero assenso a una servitù volontaria.L’operaismo, cioè la rivendicazione della centralità operaia nella lotta di classe, si è scontrato con il problema del politico. In mezzo, tra operai e capitale, io ho trovato la politica: nella forma delle istituzioni, lo Stato, nella forma delle organizzazioni, il partito, nella forma delle azioni, tattica e strategia. Il capitalismo moderno non sarebbe mai nato senza la politica moderna. Hobbes e Locke vengono prima di Smith e Ricardo. Non ci sarebbe stata accumulazione originaria di capitale senza accentramento statale delle monarchie assolute. La storia d’Inghilterra insegna. La prima rivoluzione inglese, quella brutta della dittatura di Cromwell, e quella bella, gloriosa, del Bill of Rights, corrispondono alle due fasi dettate da Machiavelli: sono due cose diverse la conquista del potere e la gestione del potere, per la prima ci vuole la forza, per la seconda ci vuole il consenso.
Il capitalismo libero-concorrenziale ha avuto bisogno dello Stato liberale, il capitalismo del welfare ha avuto bisogno dello Stato democratico. Poi, attraverso la soluzione, provvisoria, del totalitarismo, fascista e nazista, la sintesi della democrazia liberale ha stabilizzato il dominio della produzione capitalistica. E adesso siamo nella fase della esportazione del modello a livello mondo. Non tutto funziona secondo i piani del capitale. La cosa oggi più interessante politicamente è il mondo. La “grande trasformazione”, per usare l’espressione di Polanyi, riguarda lo spostamento del baricentro mondiale da Occidente a Oriente. I nostri paesi, europei, al loro interno, lasciano scarsi motivi di interesse. E’ difficile appassionarsi alla politica con i Blair e con i Prodi.
Ma il capitalismo è un ordine, e oggi, come aveva previsto Marx, un ordine mondiale, che continuamente rivoluziona se stesso. E’ qui il punto di interesse. Guardate la rivoluzione che ha portato nel mondo del lavoro. Per rispondere alla minaccia della centralità operaia ha deciso di abbattere la centralità dell’industria, e ha abbandonato, o ha rivoluzionato, quella società industriale, che era stata la ragione e lo strumento della sua nascita e del suo sviluppo.
Quando l’isola di montaggio sostituisce la linea, la catena, di montaggio nella grande fabbrica automatizzata e si entra nella fase postfordista, tutto il resto del lavoro cambia, nel classico passaggio dalla fabbrica alla società.
La domanda di oggi: esiste ancora la classe operaia? La classe operaia come soggetto centrale della critica al capitalismo. Non quindi come oggetto sociologico ma come soggetto politico. E le trasformazioni del lavoro, e della figura del lavoratore, dall’industria ai servizi, dal lavoro dipendente al lavoro autonomo, dalla sicurezza alla precarietà, dal rifiuto del lavoro alla mancanza di lavoro, tutto questo che cosa comporta politicamente? E’ di questo che dobbiamo discutere.
L’operaismo è stato il contrario dello spontaneismo. E l’opposto del riformismo.
Più vicino, quindi, al movimento comunista delle origini che alle socialdemocrazie classiche e contemporanee. Ha coniugato di nuovo, in modo creativo, Marx con Lenin. Mi chiedo, se nelle condizioni trasformate del lavoro di oggi, frantumazione, dispersione, individualizzazione, precarizzazione - delle figure di lavoratori si possa tornare a coniugare qui e ora analisi del capitalismo e organizzazione delle forze alternative. E non ho una risposta.
So per certo che non si dà lotta vera, seria, in grado di fare conquiste, senza organizzazione. Non si dà conflitto sociale capace di battere l’avversario di classe senza forza politica.
Questo è quello che abbiamo imparato dal passato. Se i nuovi movimenti non raccolgono l’eredità della grande storia del movimento operaio, per portarla avanti in forme nuove, per essi non c’è futuro. Nuove pratiche, nuove idee, ma dentro una storia lunga.
Guardate. Ai capitalisti fa paura la storia degli operai, non fa paura la politica delle sinistre.
La prima l’hanno spedita tra i demoni dell’inferno, la seconda l’hanno accolta nei palazzi di governo.
E ai capitalisti bisogna fare paura. E’ ora che un altro spettro cominci ad aggirarsi, non solo in Europa, ma nel mondo. Lo spirito, risorto, del comunismo.

Mario Tronti
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le sedie di potop



Uno strano libro, quello di Marco Codebò, edito per "Manni", casa editrice in quel di Lecce. "Via de' Serragli", scritto male per la verità. Senza l'apice e con la "i" a chiudere la congiunzione per il genitivo. Ma gli si perdona, all'autore, nato in quel di Genova e, dal 1993, lettore in quel di Los Angeles! Come mi si perdoni il fatto che ne parlo adesso, anche se il libro l'ho letto da qualche anno, e non è più tanto reperibile. Almeno così credo!
Uno strano libro, dicevo, più simile a quel che scrive Ico Gattai, a proposito di Lotta Continua, che a quel che dovrebbe scrivere uno della mia generazione. Nato nel 1952, l'autore! Ma la freschezza dovrebbe essere un pregio. Almeno così io credo, e di freschezza ce n'è! Fra calcio italiano, football anericano, politica degli anni settanta e movimento no-global, passando per il sub-comandante Marcos, e molto altro. Però il cuore me lo toccano quelle riunioni in Via de' Serragli, in Santo Spirito! Le riunioni nazionali, tenute mensilmente. Ma la cronaca verosimile, fra un "compagni, per favore!" ed un "cominciamo, compagni!", ed un rammentar "le compagne di rara avvenenza", è sciupata da un'inezia: non descrive le sedie di "potere operaio" di Via de' Serragli! Non contrappone quei piccoli capolavori di falegameria alle "panche lignee" della sede genovese! Ebbene, le sedie di potere operaio sembravano fatte per tutto, tranne che per seguire una riunione politica. Sedie pieghevoli, comodissime. Provenienti, con ogni probabilità dal cineforum, dismesso in quegli anni, che aveva sede nel cenacolo di Sant'Apollonia. Lo schienale alto, di legno scuro. Eleganti. Se ne mettevi due insieme, una di fronte all'altra, ti ci potevi addormentare sopra. Ricordo che le ebbi in eredità, per la sede del collettivo Jackson, in Via de' Macci. Anche trasportate da Santo Spirito in Santa Croce, non persero mai quella loro complicità soporifera, restituendo un sapore diverso a più di una banda di matti. Checché se ne dica!

domenica 7 gennaio 2007

tutti gli uomini del ... poeta


Un sorprendente Sean Penn, in un film che, tutto sommato, si siede un po', soprattutto nella seconda parte che indugia troppo, a mia avviso, sugli stilemi risaputi e triti del "torbido sud degli stati uniti". Uno Sean Penn che, nei panni del "candidato proletario" a governatore della Louisiana, deve pagare la contraddizione già individuata da Saint-Just, per cui non si fa politica innocentemente. Viene eletto, proletario, con i voti del proletariato, ma l'unico modo di realizzare i suoi progetti passa per i metodi "gangsteristici" della politica. Un po' Peron, un po' Hoffa, un po' Catilina, alla fine pagherà con la vita. E fin qui, il film!
Ora non credo affatto che Edoardo Sanguineti, candidato sindaco a Genova per una coalizione composta dal correntone DS, da Rifondazione e dai Comunisti italiani, morirà. Per lo meno, non di morte violenta! Certo, ha detto delle cose giuste, se l'aggettivo giusto ha ancora un significato.

«I potenti odiano i proletari e l’odio deve essere ricambiato. Perciò bisogna restaurare l’odio di classe, per contrastare l’oblìo di sé in cui la classe operaia, inibita da una cultura dominata dalla tv, è immersa.»

Mal si capisce, tuttavia, come questo richiamo alla realtà delle condizioni sociali possa avere uno sbocco in una lotta a coltello per le primarie contro altri due candidati della cosiddetta sinistra. Non si capisce come questa candidatura possa non risolversi, in caso di una sconfitta alle primarie, in un non troppo tacito appoggio ad un altro candidato. Magari per l'uomo del petroliere Garrone. Nessuno girerà mai un "Tutti gli uomini del re" italiano. Per molteplici motivi.
No, non morirà di morte violenta, un personaggio come Sanguineti. Forse di una ... morte un po' peggiore!

martedì 2 gennaio 2007

what ... if!

"Cosa sarebbe accaduto se", è una domanda tanto inutile quanto affascinante. Alle mie orecchie, e non solo alle mie. Portelli, parlando de "I giacobini neri" di C.L.R. James, si lascia andare ad una considerazione a proposito del fatto che la rivoluzione di Santo Domingo fece sì che la Francia cambiasse i suoi piani circa l'America. Fu deciso così di "vendere sottocosto", aprendo alla ... realtà. Diversamente, con ogni probabilità, oggi sarebbe il francese, la lingua! E chissà che cosa altro...
Uno di quei tanti "bivii nel tempo"...
E su un altro bivio, Bryan Talbot si gioca una delle più belle "graphic novel" che mi sia mai capitato di leggere. Oliver Cromwell, a metà del 1600 in Inghilterra, a capo di un gruppo di puritani, prese il potere, fece decapitare il re e abolì la monarchia e la camera dei Lord. Impose la supremazia marittima inglese, sconfiggendo l'Olanda, e fondò il Commonwealth. Alla sua morte (aveva sciolto il parlamento e si era autonominato "Lord protettore") il potere tornò alla dinastia Stuart, la quale iniziò la costituzione dell'impero britannico. Sottrasse, fra le altre cose, agli olandesi la città di Nuova Amsterdam, ribattezzata Nuova York. Poi, poco dopo, le leggi discriminatorie verso chi non riconosceva l'autorità religiosa del re provocarono una grande emigrazione, verso l'America, di cattolici e puritani inglesi.
E se ... E se Cromwell fosse riuscito a trasmettere il potere ai suoi eredi? E se quel regime "fascista" fosse durato fino al XX secolo? E qui, alla fine, gli Stuart rimettono la realtà e la storia "in sesto". Tutto questo accade in "Nel Cuore dell'Impero" di Bryan Talbot (edizioni Comma22, in fumetteria). La storia nasce come seguito a "Le Avventure di Luther Arkwright", dove avveniva, all'interno di una trama intricata che si svolgeva su una miriade di universi paralleli, il rovesciamento della dittatura di Cromwell. Ora, sono passati alcuni anni, ed anche la monarchia, a sua volta, è diventata un regime violento e oppressivo...
Ed io aspetto, con ansia, di poter leggereil secondo volume, conclusivo, della storia!