giovedì 2 maggio 2024

Cercando altrove…

Tre motivi per leggerlo:

Perché è un appassionante viaggio nell'antichità - gli eroi di Omero, la Grecia classica, il Cristianesimo eretico - alla ricerca di risposte fondamentali per la nostra vita. Perché racconta della violenza di chi ama sentirsi sempre dalla parte del giusto, del bene, della verità. Perché Simone Weil è un'autrice irresistibile, un esempio unico di coerenza e determinazione.

(dal risvolto di copertina di: Simone Weil, "Il libro del potere". Chiarelettere, pag.128 €10)

La lezione sulla guerra di Simone Weil
- di Franco Marcoaldi -

Come tutti in queste terribili settimane, vado in cerca spasmodica di notizie. Nella speranza di capire qualcosa di più, di orientarmi meglio in questo mondo impazzito. Anche se poi, spesso e volentieri, esco da tale immersione del tutto tramortito, con la sensazione di non aver fatto passi in avanti. E allora cerco altrove parole che, per quanto lontane nel tempo, sappiano nutrire mente e coscienza. E ancora una volta le trovo in Simone Weil. Più precisamente nel suo libro "Il libro del potere" (Chiarelettere). E più precisamente ancora nel saggio "Non ricominciamo la guerra di Troia", scritto nel sanatorio svizzero di Montana nel 1937, dopo la disperante esperienza nella guerra di Spagna a fianco delle forze repubblicane. «È un dato di fatto che nel corso della storia umana i conflitti più feroci siano stati quelli privi di un obiettivo» - riconoscibile, perseguibile, fattuale. Appunto: non è proprio questo il primo problema del nuovo disordine mondiale? «Quando ci si contende una posta in gioco determinata si possono mettere sul piatto della bilancia i valori della stessa e i possibili costi del conflitto (...) Ma quando la contesa è priva di obiettivo non esiste più una misura comune, non c'è equilibrio né proporzione, la comparazione è impossibile. Il compromesso inconcepibile».

Le azioni limitate ed efficaci lasciano così spazio a parole altisonanti e irreali, che solo l'irrazionalità della natura umana può perseguire: «Un'irrazionalità ancora maggiore di quella che vide contrapposti Greci e Troiani. Se non altro al centro della guerra di Troia c'era una donna di estrema bellezza. Per i nostri contemporanei il ruolo di Elena spetta a parola ornate di maiuscole. Se afferriamo una di queste parole rigonfie di sangue e lacrime per cercare di stringerla la troveremo vuota».

La verità, sosteneva Weil con una intuizione che vale ancora oggi, è che abbiamo perso le nozioni di "limite", "misura", "proporzione". Ormai, conosciamo solo entità assolute, fantasmatiche: «nazione, sicurezza, capitalismo, comunismo, fascismo, ordine, autorità, proprietà, democrazia», che non vengono poi calate e relativizzate in una precisa realtà. Con i suoi inevitabili chiaroscuri. Strano, no? Proprio la "mistica" Simone Weil invita noi, "disincantati machiavellici", a recuperare quell'atteggiamento pragmatico e razionale che sembriamo aver smarrito: «C'è un problema da risolvere e non una fatalità da subire».

- Franco Marcoaldi - Pubblicato su Robinson del 12/11/2023 -

Leggere Marx - I testi più importanti di Karl Marx per il XXI secolo - 8-

La forza-lavoro come merce sul mercato

Prendiamo il processo di circolazione in una forma nella quale esso si presenti come puro e semplice scambio di merci. Questo caso si verifica ogni volta che i due possessori di merci comprano l’uno dall’altro e la bilancia dei loro reciproci crediti si pareggia il giorno dei pagamenti. Qui il denaro serve da moneta di conto, per esprimere i valori delle merci nei loro prezzi, ma non si contrappone fisicamente {nella figura del denaro sonante}, come cosa {in sé}, alle merci stesse. Ora, per quanto riguarda il valore di uso, è chiaro che entrambi i permutanti possono guadagnare. Tutti e due alienano merci che, in quanto valori di uso, sono per loro inutili e ricevono merci di cui hanno bisogno per uso proprio. E questo vantaggio può non essere  l’unico. A, che vende vino e compera granaglie, produce forse più vino di quanto il contadino coltivatore di cereali B potrebbe produrre nello stesso tempo di lavoro, e il coltivatore di cereali B produce forse più granaglie nello stesso tempo di lavoro di quanto il vignaiolo A potrebbe produrre. Dunque, per lo stesso valore di scambio, A riceve più granaglie, e B più vino, che se ognuno dei due, senza scambio, fosse costretto a produrre vino e granaglie per sé stesso. Così, in riferimento al valore di uso, [e quindi pure all’utilità], si può dire che «lo scambio è una transazione nella quale i due contraenti guadagnano».  Diversamente invece stanno le cose per il valore di scambio. [«Un uomo che dispone di molto vino e non ha punto grano, commercia con un altro uomo che possiede molto frumento e non ha vino: tra di loro si scambiano 50 quantità di grano per 50 quantità di vino. Questo scambio non rappresenta un aumento di ricchezza per nessuno dei due; perché ognuno di loro possedeva già prima dello scambio un valore uguale a quello che ha ottenuto con questa operazione»  (PIERREPAUL [LE]MERCIER DE LA RIVIÈRE, L’ordre naturel … [1767], in Physiocrates … [1846], a cura di Eugène Daire, parte II, cit., pag. pag. 544).]

La faccenda non cambia, qualora il denaro, come mezzo di circolazione, si inserisca fra le merci e gli atti della compera e della vendita siano così separati l’uno dall’altro in modo sensibile. Il valore delle merci è espresso nei loro prezzi, prima che esse entrino nella circolazione, e quindi è il presupposto e non il risultato di questa. Da un punto di vista astratto, cioè a prescindere da circostanze accidentali, che non scaturiscano dalle leggi immanenti della circolazione mercantile semplice, oltre la sostituzione di un valore di uso con un altro, avviene in essa circolazione nient’altro che una metamorfosi, ossia un mero cambiamento di forma della merce. In mano allo stesso possessore di merci rimane lo stesso valore, cioè la stessa quantità di lavoro sociale oggettivato (o incorporato), prima nella figura sua propria di merce, poi nella forma di denaro in cui essa si converte, infine nella forma di prodotto altrui (merce) in cui questo denaro si ritrasmuta. Questo cambiamento di forma della merce non implica una mutazione alcuna della grandezza di valore. (...) Se, dunque, rispetto al valore di uso, entrambi i permutanti possono trarre un guadagno, invece, rispetto al valore di scambio, entrambi non possono ottenerlo. Anzi, qui vale l'antico detto italiano: «Dove vi è egualità, non è lucro». È vero che le merci possono esser vendute a prezzi che divergono dai loro valori, ma questo divario si manifesta come una infrazione della legge dello scambio delle merci. Nella sua forma pura, lo scambio delle merci è uno scambio di equivalenti, e quindi non è un mezzo per l’incremento di valore e per l’arricchimento individuale. Perciò, dietro ai vani tentativi di rappresentazione della circolazione delle merci come fonte di plusvalore, sta in agguato perlopiù un quid pro quo, una confusione tra valore di uso e valore di scambio... Se, dunque, si scambiano merci, oppure merci e denaro, di uguale valore di scambio, cioè equivalenti, evidentemente nessuno estrae dalla circolazione più valore di quanto ve ne immetta. Quindi nella circolazione non ha luogo alcuna formazione di plusvalore. Nella sua forma pura, il processo di circolazione delle merci, determina uno scambio di equivalenti. Nella realtà, tuttavia, le cose non si svolgono allo stato puro. Supponiamo, perciò, uno scambio di non-equivalenti. In ogni caso, sul mercato delle merci si trovano di fronte solo possessore di una merce e possessore di un’altra merce; il potere che queste persone esercitano l’una sull’altra è soltanto il potere delle loro merci. La diversità materiale delle merci è il movente materiale dello scambio e rende i possessori di merci reciprocamente dipendenti l’uno dall’altro, in quanto nessuno di loro tiene in pugno l’oggetto del proprio bisogno e ognuno tiene in pugno l’oggetto del bisogno dell’altro. Oltre questa differenza materiale fra i loro valori di uso, alle merci non resta che un’altra sola differenza: la differenza tra la loro forma naturale e la loro forma trasmutata, la differenza tra merce e denaro. E così i possessori di merci si distinguono solo come venditore (possessore di merce) e compratore (possessore di denaro).

Supponiamo ora che, per un qualche inspiegabile privilegio, il venditore possa vendere la sua merce al di sopra del suo valore, p. es. a 110 lire sterline quando essa vale 100, ossia con un aumento nominale di prezzo del 10%. Dunque, il venditore incassa un valore in più di 10 lire sterline. Ma, dopo esser stato venditore, egli diventa compratore. Ora, sul mercato egli incontra un terzo possessore di merci, un altro venditore, il quale si appella a sua volta al privilegio di poter vendere la propria merce con un rincaro del 10%. Il nostro personaggio ha guadagnato prima 10 come venditore e ha perduto poi 10 come compratore. Il risultato definitivo si riduce, in realtà, al fatto che tutti i possessori di merci si vendono l’uno all’altro le loro merci il 10% al di sopra del loro valore, il che è esattamente la stessa cosa se tutti vendessero le merci al loro valore reale. Un tale rialzo di prezzo delle merci, nominale e generale, produce lo stesso effetto se, p.es., i valori delle merci fossero stimati in argento anziché in oro. I nomi monetari, cioè i prezzi nominali delle merci, si gonfierebbero, ma i loro rapporti di valore rimarrebbero invariati. Supponiamo, viceversa, per un altro ancora inspiegabile privilegio, il compratore possa comperare le merci al di sotto del loro valore. Qui non è neppur necessario ricordare che il compratore diventa in séguito di nuovo venditore. Egli era venditore, prima di diventare compratore. Ha perduto già il 10% come venditore, prima di guadagnare il 10% come compratore Tutto rimane come prima. La formazione di plusvalore, e quindi la trasformazione di denaro in capitale, non può spiegarsi né con il fatto che i venditori vendano le merci al di sopra del loro valore, né con il fatto che i compratori le comperino al di sotto del loro valore... Dunque, gira e rigira, il risultato è sempre lo stesso. Se si scambiano equivalenti, non si genera alcun plusvalore; se si scambiano non-equivalenti, neppur in tal caso si genera plusvalore. La circolazione, ossia lo scambio di merci, non crea valore alcuno... Si è visto che il plusvalore non può sorgere dalla circolazione, e quindi che nella sua genesi deve accadere qualcosa, prima e al di fuori della circolazione, qualcosa che è invisibile nella circolazione stessa. Ma il plusvalore può scaturire da qualcosa al di fuori della circolazione stessa? Dopotutto, la circolazione è la somma di tutti i rapporti di scambio reciproci fra i possessori di merci. Al di fuori della circolazione, il possessore di merce rimane solo ed è in relazione ormai soltanto con la propria merce. Per quel che riguarda il valore della merce, il rapporto si limita al fatto che essa contiene una quantum di lavoro del possessore stesso, misurata secondo determinate leggi sociali. Tale quantità di lavoro si esprime nella grandezza di valore della sua merce, e, siccome la grandezza di valore si rappresenta in moneta di conto, si esprime in un prezzo, p. es., di 10 lire sterline. Ma il lavoro del suo possessore non si rappresenta nel valore della merce e insieme in un’eccedenza sul valore proprio di questa, non si rappresenta cioè in un prezzo di 10, che è simultaneamente un prezzo di 11, non si rappresenta in un valore più grande di se stesso. Il produttore (e possessore) di merci può, con il suo lavoro, creare valori, ma non valori che si valorizzano. Egli può elevare il valore di una merce, con l’aggiunta al valore esistente di nuovo valore, mediante nuovo lavoro, p. es. la fabbricazione degli stivali con il cuoio, la merce di una precedente produzione. La medesima materia ha ora più valore, perché contiene una quantità più grande di lavoro. Quindi lo stivale ha più valore del cuoio, ma il valore del cuoio è rimasto quel che era. Non si è valorizzato, non si è  aggiunto un plusvalore durante la fabbricazione degli stivali. Dunque, è impossibile che il produttore di merci, al di fuori della sfera della circolazione e senza entrare in contatto con altri possessori di merci, possa valorizzare il valore, e quindi trasformare il suo denaro o la sua merce in capitale. In breve, il capitale non può scaturire dalla circolazione, ma non può neppure non scaturire dalla circolazione. Deve necessariamente scaturire in essa e, al contempo, non nascere in essa.  In conclusione, si ha un duplice risultato. La trasformazione del denaro in capitale deve essere spiegata sulla base di leggi immanenti alla circolazione delle merci, cosicché come punto di partenza valga lo scambio di equivalenti. Il nostro possessore di denaro, che per ora esiste soltanto come capitalista allo stato embrionale di bruco, deve prima comperare le merci al loro giusto valore, poi le deve vendere al loro valore, eppure alla fine del processo deve estrarre più valore di quanto ne avesse anticipato. La metamorfosi {dell’uomo dei talleri in capitalista}, da bruco in farfalla, deve avvenire entro la sfera della circolazione e, al contempo, non deve avvenire entro la sfera della circolazione. Ecco i termini del problema. «Hic Rhodus, hic salta!»

Il cambiamento {e accrescimento} di valore del denaro, mediante il quale il denaro si deve trasformare in capitale, non può provenire da questo stesso denaro, poiché esso, come mezzo di acquisto e come mezzo di pagamento, non fa che realizzare il prezzo della merce che compera o paga, mentre, se rimane tale e quale, se mantiene la sua propria forma di denaro puro e semplice, si solidifica con la pietrificazione in grandezza di valore invariabile. Il cambiamento non può neppure scaturire dal secondo atto della circolazione, la rivendita della merce, poiché questo atto si limita a far ritornare la merce dalla sua forma naturale alla sua forma di denaro. Dunque, il cambiamento deve verificarsi nella merce comprata nel primo atto, D - M, ma non nel valore di essa, poiché qui vengono scambiati equivalenti, cioè la merce viene pagata al suo valore. In altri termini, il cambiamento può derivare soltanto dal valore di uso della merce come tale, cioè dal suo consumo. Per estrarre valore dal consumo di una merce, il nostro possessore di denaro dovrebbe aver la fortuna di scoprire, all’interno della sfera della circolazione, cioè sul mercato stesso, una merce il cui valore di uso possedesse la peculiare proprietà di essere fonte di valore, tale che il suo stesso consumo fosse, in realtà, oggettivazione di lavoro, e quindi creazione di valore. E il possessore di denaro trova effettivamente sul mercato una tale merce speciale: è la capacità di lavoro, ossia, la forza di lavoro. Per forza di lavoro (forza lavorativa) o capacità di lavoro (capacità lavorativa) io, proprio io, intendo l’insieme delle attitudini fisiche e intellettuali, che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente di un uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori di uso di qualsiasi specie. Tuttavia, affinché il possessore di denaro incontri sul mercato la forza di lavoro come merce, è necessario il soddisfacimento di diverse condizioni. In sé e per sé, lo scambio di merci non include altri rapporti di dipendenza oltre a quelli derivanti dalla sua propria natura. Con questi presupposti, la forza di lavoro può comparire sul mercato come merce soltanto in quanto e perché offerta o venduta come merce dal proprio possessore, dalla persona della quale essa è la forza di lavoro. Affinché il possessore della forza di lavoro la venda come merce, egli deve poterne disporre, e quindi essere libero proprietario della propria capacità di lavoro, della propria persona. Il possessore della forza di lavoro si incontra sul mercato con il possessore di denaro, e i due entrano in rapporto reciproco come possessori di merci, con diritti uguali, unicamente distinti dal fatto che l’uno è compratore e l’altro venditore, e quindi entrambi, come persone, sono giuridicamente eguali. 

La continuazione di questo rapporto esige che il proprietario della forza di lavoro la venda sempre e soltanto per un tempo limitato e determinato, poiché se la vende in blocco, una volta per tutte, vende se stesso, si trasforma da uomo libero in schiavo, da possessore di merce in merce. Il proprietario di forza di lavoro, in quanto persona, deve riferirsi costantemente alla propria forza di lavoro come a sua proprietà, e quindi come a sua propria merce. Il che può farlo solo in quanto mette la sua forza di lavoro a disposizione del compratore sempre e soltanto in via transitoria, per un periodo di tempo determinato, e gliela lascia temporaneamente in uso, per il consumo, in modo che, mediante l’alienazione di essa, non rinuncia alla sua proprietà su di essa. La seconda condizione essenziale, affinché il possessore del denaro trovi la forza di lavoro sul mercato già pronta come merce, è che il possessore di questa non abbia la possibilità di vendere merci nelle quali il suo lavoro si è oggettivato, ma anzi, sia costretto a offrire in vendita, come merce, la sua stessa forza lavorativa, che esiste soltanto nella sua corporeità vivente. Chiunque voglia vendere merci distinte dalla propria forza di lavoro, deve, com’è ovvio, possedere mezzi di produzione, p. es. materie prime, strumenti di lavoro, ecc. Egli non può fabbricare, p. es., stivali senza cuoio. Inoltre, ha bisogno di mezzi di sussistenza. Nessuno, neppure un «musicista dell’avvenire», può campare dei prodotti della posterità, e quindi nemmeno di valori di uso la cui produzione è ancora incompiuta. E, come il primo giorno della sua comparsa sulla crosta terrestre, l’uomo è costretto ancora a consumare, giorno per giorno, prima della produzione e anche durante la produzione. I prodotti debbono essere venduti dopo, come merci, dopo la loro produzione, e quindi possono soddisfare i bisogni del produttore soltanto dopo la vendita. Al tempo di produzione si aggiunge il tempo necessario per la vendita. Dunque, per trasformare il denaro in capitale, il possessore del denaro deve trovare sul mercato delle merci il lavoratore «libero»; «libero» nel duplice senso che, nei suoi nessi giuridici di persona libera, dispone della propria forza lavorativa come sua propria merce e che, d’altra parte, non ha da altre merci vendere, e quindi, per così dire, è nudo e spoglio, libero da tutto, completamente sprovvisto delle cose necessarie alla vita e alla conservazione della sua forza di lavoro. Perché questo lavoratore libero si trova nella sfera della circolazione? È una domanda che non ha alcun interesse per il possessore di denaro, il quale si trova davanti il mercato del lavoro come sezione particolare del mercato delle merci. E per il momento, non ha interesse neppure per noi. Ci atteniamo, sul piano teorico, al dato di fatto, così come il possessore di denaro fa sul piano pratico. Una cosa è evidente, però. La natura non produce, da una parte, possessori di denaro o di merci e, dall’altra, puri e semplici possessori della propria forza lavorativa. Questo rapporto fra possessore di denaro e possessore di forza lavorativa non ha alcun fondamento naturale, e quindi non appartiene alla storia naturale, né, tanto meno, è un rapporto sociale comune a tutti i periodi della storia umana. Esso stesso è, evidentemente, il risultato di uno sviluppo storico precedente, il prodotto di molti rivolgimenti economici, del tramonto di tutta una serie di formazioni più antiche della produzione sociale  [Non esistono, di converso, né società né modi di produzione immutabili].

Anche le categorie economiche, precedentemente considerate, portano le tracce della loro storia. Nell’esistenza del prodotto come merce, sono racchiuse determinate condizioni storiche. Per divenire merce, il prodotto non deve essere generato come mezzo immediato di sussistenza per colui che lo produce. Se avessimo indagato più a fondo in quali circostanze tutti i prodotti, o anche soltanto la maggior parte, assumono la forma di merce, avremmo trovato che ciò avviene soltanto sulla base di un modo di produzione del tutto peculiare, cioè il modo di produzione capitalistico. Ma tale ricerca era estranea all’analisi della merce. Una produzione e una circolazione di merci possono aver luogo anche se la massa dei prodotti, di gran lunga prevalente, destinati alla soddisfazione di bisogni immediati del produttore, non si trasforma in merce, e quindi molto prima che il processo sociale di produzione sia dominato in tutta la sua ampiezza e in tutta la sua profondità dal valore di scambio. La rappresentazione del prodotto come merce presuppone una divisione del lavoro all’interno della società, talmente sviluppata che la separazione fra valore di uso e valore di scambio, il cui primo inizio è nel baratto, cioè nel commercio di permuta diretta, sia compiuta. Però un tale grado di sviluppo è comune a molte formazioni economiche della società, diversissime l’una dall’altra come dimostra la storia. Oppure consideriamo il denaro. La sua esistenza presuppone un certo livello dello scambio di merci. Le forme particolari del denaro –puro e semplice equivalente della merce, mezzo di circolazione, mezzo di pagamento, tesoro e denaro mondiale– indicano, di volta in volta, a seconda della diversa estensione e della preponderanza relativa di questa o quella funzione, fasi e gradi differentissimi del processo sociale di produzione. Eppure, l’esperienza stessa, mostra che una circolazione delle merci relativamente poco sviluppata è sufficiente per la genesi di tutte quelle forme. Non così per il capitale. Le sue condizioni storiche di esistenza non sono affatto date, di per se stesse, con la circolazione delle merci e del denaro. Esso prende vita soltanto dove il possessore di mezzi di produzione e di sussistenza trova, sul mercato, il libero lavoratore come venditore della sua forza di lavoro, sic et simpliciter. E questa sola condizione storica comprende in nuce l’intero sviluppo della storia universale. Quindi il capitale annuncia fin dal suo principio un’epoca nuova del processo sociale di produzione.

Si tratta ormai di considerare più da vicino la forza di lavoro. Questa merce peculiare, come tutte le altre, ha un valore. Come viene determinato? Il valore della forza di lavoro, come quello di ogni altra merce, è determinato dal tempo di lavoro necessario alla produzione, e quindi anche alla riproduzione, di questo articolo specifico. In quanto valore, anche la forza di lavoro rappresenta soltanto un quantumdi lavoro sociale medio oggettivato in essa. La forza di lavoro esiste soltanto come capacità o attitudine naturale dell’individuo vivente. Quindi la produzione di essa presuppone l’esistenza dell’individuo di carne e ossa. Data l’esistenza dell’individuo, la produzione della forza di lavoro consiste nella riproduzione, ossia nella conservazione, di esso. Per la propria conservazione, l’individuo vivente ha bisogno di una certa somma di mezzi di sussistenza. Dunque, il tempo di lavoro necessario per la produzione della forza di lavoro si risolve nel tempo di lavoro necessario per la produzione di quei mezzi di sussistenza, ovvero: il valore della forza di lavoro è il valore dei mezzi di sussistenza necessari per la conservazione del suo possessore. Però, la forza di lavoro diventa una realtà e si realizza soltanto per mezzo della sua estrinsecazione, e quindi si afferma e si realizza soltanto nel lavoro. Ora nell’estrinsecazione della forza di lavoro, nel lavoro, si ha dispendio di una certa quantità di muscoli, nervi, cervello, ecc. umani, la quale deve, a sua volta, esser reintegrata. Questo aumento in uscita esige un aumento in entrata. Se il possessore di forza di lavoro ha lavorato oggi, deve poter ricominciare e ripetere domani lo stesso processo, nelle stesse condizioni di vigore e salute. La somma dei mezzi di sussistenza deve, dunque, bastare al mantenimento dell’individuo che lavora nel suo stato di vita normale di individuo che lavora. Ora, i bisogni naturali, come il nutrimento, il vestiario, il riscaldamento, l’alloggio, ecc., sono differenti, di volta in volta, a seconda delle condizioni climatiche e delle altre caratteristiche naturali di un Paese, mentre, il volume dei cosiddetti bisogni necessari, come pure il modo di soddisfazione, è a sua volta un prodotto della storia, e quindi dipende in larga misura dal grado di civiltà di un Paese e, più in particolare, dalle origini della sua classe dei liberi lavoratori. Contrariamente alle altre merci, la determinazione del valore della forza di lavoro include, dunque, un elemento storico e morale. Per un determinato paese, ma anche in un determinato periodo storico, il volume medio dei mezzi di sussistenza necessari è, dunque, prestabilito.

Il proprietario della forza di lavoro è mortale. Perciò, se la sua presenza sul mercato deve essere continuativa, così come lo richiede la continua trasformazione del denaro in capitale, il venditore della forza di lavoro si deve perpetuare, come si perpetua ogni individuo vivente, «con la procreazione» (Petty). Le forze di lavoro sottratte al mercato dal logoramento e dalla morte debbono esser continuamente reintegrate da un numero perlomeno uguale di nuove forze di lavoro. Dunque, la somma dei mezzi di sussistenza necessari alla produzione della forza di lavoro include i mezzi di sussistenza delle forze di ricambio, cioè uomini, i figli dei lavoratori, in modo che questa razza di singolari possessori di merci si perpetui sul mercato del lavoro. Inoltre, per la modifica dell’organismo umano, nelle sue caratteristiche generalmente umane, in modo tale che raggiunga un grado di abilità, precisione e celerità in un dato ramo di lavoro, e divenga una forza di lavoro competente in un senso specifico, occorre una certa preparazione e istruzione, che costa, a sua volta, una somma equivalente di merci, in una quantità più o meno grande. Le spese di formazione professionale della forza di lavoro variano a seconda del suo carattere più o meno complesso, e quindi evoluto. Queste spese di preparazione e istruzione – insignificanti per la forza di lavoro ordinaria, ossia semplice – rientrano pro tanto nel totale dei valori spesi per la produzione della forza di lavoro. Il valore della forza di lavoro si risolve nel valore di una certa somma di mezzi di sussistenza. Quindi, esso varia con il valore di quei mezzi di sussistenza, cioè con la grandezza del tempo di lavoro richiesto per la loro produzione. Una parte dei mezzi di sussistenza, p. es. generi alimentari, combustibili, ecc., vengono consumati di giorno in giorno, e debbono essere sostituiti di giorno in giorno. Altri mezzi di sussistenza, come il vestiario, il mobilio, ecc., si logorano in periodi più lunghi, e quindi debbono essere sostituiti solo a scadenze più lontane. Certe merci debbono essere comprate e pagate giornalmente, altre settimanalmente, altre ancora mensilmente, trimestralmente, ecc. Ma, comunque la somma di quelle spese si distribuisca, p. es., nel corso di un anno, essa deve sempre esser coperta con l’entrata media giornaliera, giorno per giorno. Se la massa delle merci richieste giornalmente per la produzione della forza di lavoro fosse uguale ad A, quella delle merci richieste settimanalmente fosse uguale a B, quella delle merci richieste mensilmente fosse uguale a C, quella delle merci richieste trimestralmente fosse uguale a D, ecc., la media giornaliera di quelle merci sarebbe data, in generale, da:

 (365A+52B+4C+etc.)/365.

Posto che in questa massa di merci necessaria per la giornata media siano incorporate 6 ore di lavoro sociale, allora nella forza di lavoro si oggettiva, giornalmente, una mezza giornata di lavoro sociale medio, in altre parole, per la produzione giornaliera della forza di lavoro si richiede una mezza giornata lavorativa. Tale quantum di lavoro richiesto per la sua produzione giornaliera costituisce il valore giornaliero della forza di lavoro, ossia il valore della forza di lavoro giornalmente riprodotta.  E così, se una mezza giornata di lavoro sociale medio si rappresenta in una massa aurea di 3 scellini – ossia, , di 1 tallero – il prezzo corrispondente al valore giornaliero della forza di lavoro è di 1 tallero. Se il possessore della forza lavorativa la offre in vendita per 1 tallero al giorno, allora il suo prezzo di vendita è uguale al suo valore, e secondo la nostra ipotesi, il possessore di denaro, smanioso di convertire i propri talleri in capitale, si adegua e paga questo valore. Il limite minimo, o minimum, del valore della forza di lavoro è costituito dal valore di un paniere di merci –senza la cui fornitura giornaliera, il depositario della forza di lavoro, l’uomo, non può rinnovare il suo processo vitale, e quindi dal valore dei mezzi di sussistenza fisiologicamente indispensabili. Se il prezzo della forza di lavoro scende a questo minimum, cade al di sotto del suo valore, e in questo caso quindi la forza di lavoro si conserva e si sviluppa –se si conserva e si sviluppa– in uno stato menomato e inumano. Ma il valore di ogni singola merce è determinato dal tempo di lavoro necessario per la sua venuta al mondo nell’aspetto normale...

La natura peculiare di questa merce specifica, la forza di lavoro, ha per conseguenza che, una volta concluso il contratto fra compratore e venditore, il suo valore di uso non è ancora passato realmente nelle mani del compratore. Il suo valore era già determinato, come quello di ogni altra merce, prima che entrasse in circolazione, poiché la produzione di forza lavorativa aveva richiesto la spesa una di una determinata quantità di lavoro sociale, ma il suo valore di uso consiste e si manifesta unicamente nella estrinsecazione di tale forza.  L’estraneazione della forza di lavoro e la sua effettiva estrinsecazione, cioè la sua esistenza come valore di uso, in realtà non coincidono nel tempo. Ora, nel caso delle merci per le quali l’alienazione formale del valore di uso, mediante la vendita, è separata nel tempo dalla consegna effettiva al compratore, il denaro di quest’ultimo funziona perlopiù come mezzo di pagamento. In tutti i Paesi, nei quali predomina il modo di produzione capitalistico, la forza di lavoro viene pagata soltanto dopo che si è già esplicata per il periodo fisso stabilito nel contratto, p. es. alla fine di ogni settimana. Dunque, l’operaio anticipa in ogni dove al capitalista il valore di uso della sua forza di lavoro e la lascia consumare dal compratore prima del pagamento del suo prezzo, e quindi, in breve, l’operaio fa credito in ogni dove al capitalista. E che questo far credito non sia una vuota fantasticheria, è provato non soltanto dall’occasionale perdita del salario, di cui l’operaio ha fatto credito, quando il capitalista fa bancarotta, ma anche da una serie di conseguenze più a lunga scadenza. Però, che il denaro funzioni come mezzo di acquisto o come mezzo di pagamento, non cambia in alcun modo la natura dello scambio di merci in sé e per sé. Il prezzo della forza di lavoro è stabilito per contratto, benché venga realizzato solo in un secondo tempo, come il canone di locazione di una casa. La forza di lavoro è venduta, benché venga pagata soltanto in un secondo tempo. Tuttavia, per una comprensione più chiara del rapporto, è utile presupporre, in via provvisoria, che il possessore della forza lavorativa, al momento della sua vendita, riceva subito il prezzo stabilito per contratto. Ora conosciamo il modo di determinazione del valore che il possessore del denaro paga al possessore di quella merce sui generis, la forza di lavoro. Il valore di uso che il possessore del denaro riceve, per parte sua, nello scambio, si manifesta soltanto nel processo di consumo della forza di lavoro, ossia nel suo impiego effettivo. Tutte le cose necessarie alla realizzazione di questo processo, come le materie prime, ecc., il possessore del denaro le compera sul mercato e le paga al loro prezzo intero. Il processo di consumo della forza di lavoro è, nello stesso tempo, il processo di produzione di merce e di plusvalore. Il consumo della forza di lavoro, come il consumo di ogni altra merce, si compie fuori del mercato, ossia della sfera della circolazione.

Abbandoniamo quindi, assieme al possessore di denaro e al possessore di forza di lavoro, questa sfera chiassosa, superficiale e accessibile agli occhi di tutti, e seguiamo l’uno e l’altro nel segreto e recondito laboratorio della produzione, sulla cui soglia sta scritto: «No admittance except on business» ["Vietato l'ingresso se non per motivi di lavoro"]. Qui si vedrà non solo come il capitale produce, ma anche come il capitale viene prodotto. Verrà finalmente svelato il grande arcano della società moderna, la creazione di plusvalore. Ossia la sua fattura dovrà finalmente svelarsi.

- Karl Marx - Il Capitale, Libro I - Quarta edizione, 1890 -

mercoledì 1 maggio 2024

Campismi !!


Guerra ideologica tra "Sionisti" e campisti "Anti-Sionisti"
di Yves Coleman

- In seguito ai massacri del 7 ottobre commessi in Israele da alcuni gruppi palestinesi, sui social e sui "media mainstream" divampa una guerra di propaganda tra due campismi in competizione tra loro: il campismo " Sionista", che nega (o relativizza in maniera significativa) i massacri dei civili per mano dell'esercito israeliano; e il campismo " anti-Sionista" [*1], che nega (o minimizza fortemente) i massacri di civili israeliani avvenuti per mano di Hamas, dalla Jihad islamica e da altri gruppi o individui, il 7 ottobre 2023 -

Sionismo, nel 2024?
"Sionismo" e " Sionisti" sono dei termini alquanto assurdi, dal momento che lo "Stato degli Ebrei" esiste ormai da 77 anni,  e il progetto utopico di uno Stato che protegga gli ebrei del mondo si è concretizzato e ha dato vita a una forza militare ebraica concentrata su un unico territorio. Sarebbe un po' come chiamare gli Stati Uniti lo Stato washingtoniano, la Germania lo Stato bismarckiano o la Francia lo Stato napoleonico, congelando così la storia in una fase storica - e in più dando a questa fase storica un significato offensivo, come se si affermasse che lo Stato italiano deve essere chiamato fascista dal 1923 in poi, o lo Stato tedesco nazista dal 1933 ad oggi, in quanto sionismo=razzismo=fascismo, o persino uguale al nazismo. Oltretutto, la maggior parte degli ebrei che giunsero in Palestina tra il 1881 e il 1947 non furono motivati da un'adesione ideologica a una specifica corrente sionista: arrivarono lì semplicemente perché non avevano un altro posto dove andare [*2]! Infine, il fatto che questo Stato proclami a gran voce la sua volontà di accogliere e, soprattutto, proteggere tutti gli ebrei in caso di nuovi giudeocidi e persecuzioni di massa è qualcosa da prendere assolutamente sul serio; cosa che gli "Anti-sionisti" non fanno, riducendo questa paura a "paranoia", o a cinica manipolazione politica: gli ebrei della diaspora che criticano appassionatamente Israele, si definiscono "anti-Sionisti" e sostengono che a essere responsabile dell'antisemitismo [*3] è il "Sionismo", riducendolo a un progetto essenzialmente religioso e "suprematista", in modo da prenderne le distanze, il che, se sono veramente atei, ha poco senso. Tuttavia, non è forse proprio perché in qualche modo, inconsciamente, riconoscono una certa legittimità a Israele (una legittimità che va ben oltre il mito religioso della cosiddetta "terra promessa") che questi "ebrei anti-sionisti" si oppongono ferocemente alle politiche colonizzatrici dei suoi governi? Altrimenti, è difficile capire perché queste stesse persone non si preoccupino anche della sorte dei popoli del Sudan, del Tibet, dello Xinjiang (dove vengono perseguitati gli uiguri musulmani), della Repubblica Del Congo, della Birmania - o anche della Siria e dei suoi palestinesi massacrati da Assad !!! Quanto a quegli " anti-sionisti" che non hanno alcuna affinità culturale o familiare con la storia concreta degli ebrei, bisogna dire che il loro fanatico tropismo anti-israeliano è a dir poco sospetto. 

Digressione sull'analogia con il suprematismo
I termini "suprematisti" o "suprematisti bianchi", sono stati tranquillamente introdotti nel vocabolario politico francese, anche da parte dei giornalisti di un quotidiano borghese come Le Monde, per descrivere l'estrema destra israeliana. Assistiamo a una chiara esportazione ideologica di concetti relativi alla questione che hanno dovuto affrontare gli afro-americani che hanno dovuto combattere il KKK e, che devono ancora oggi affrontare milizie armate di estrema destra - cristiane o meno - (o neonaziste) che rivendicano teorie esplicitamente razziste, come abbiamo visto a Charlottesville e durante l'invasione del Campidoglio, o di altre istituzioni locali negli Stati Uniti. Questa realtà storica è stata affibbiata anche alla Palestina; come se i palestinesi si trovassero in una situazione paragonabile a quella degli afroamericani, e come se gli israeliani svolgessero lo stesso ruolo di cui hanno goduto per secoli i suprematisti bianchi americani [*4]. Per di più, negli Stati Uniti, tutto ciò va di pari passo con la denuncia degli ebrei in quanto gruppo "bianco" che gode di "privilegi", e con l'autoflagellazione dei cosiddetti ebrei di sinistra "de-coloniali". Questa assurda autoaccusa corrisponde esattamente alle fantasie anti-semite della Nation of Islam, che ha sempre falsamente accusato gli ebrei di trarre profitto dalla tratta degli schiavi.

Torniamo alla guerra tra campismo "Sionista" e "Anti-Sionista": al mito dei "popoli Semitici" e all'antisemitismo "puramente europeo ". Questi due schieramenti contrapposti fanno discorsi speculari e si accusano reciprocamente di negare il "genocidio" che sostengono sia stato commesso dall'altra fazione. Vale la pena di sottolineare una particolarità che contraddistingue questa propaganda reazionaria: in entrambi i casi, essa viene portata avanti in nome della lotta contro... l'antisemitismo. Questo almeno nella sinistra occidentale, dal momento che gli islamisti arabi in genere dichiarano:
* o che essi sono "semiti": questo "argomento" viene utilizzato non solo dagli islamisti, ma anche dagli "anti-sionisti" ignoranti e dai negazionisti dell'Olocausto di estrema destra. Ad ogni modo, va precisato che i Semiti non sono un popolo storicamente esistito: nel XIX secolo, i linguisti europei hanno stabilito una classificazione delle lingue, classificando l'arabo e ebraico (così come le lingue berbere, cuspidiche, ciadiane, accadiche, fenicie, aramaiche ed etiopiche) come lingue semitiche; questo sulla base della loro comune discendenza mitica dai figli di Shem (essendo Shem uno dei tre figli di Noè, si tratta di un personaggio privo di realtà storica o scientifica). Per estensione, alcuni dei popoli che avevano parlato o che parlano parzialmente le lingue semitiche vennero arbitrariamente classificati (nel XIX secolo) come popolazioni "semitiche". All'epoca si credeva nell'esistenza scientifica delle "razze" e si confondevano i concetti di nazione, razza, lingua e popolo. Oggi, a nessun "anti-sionista" verrebbe in mente di considerare gli etiopi o i ciadiani di oggi come Semiti. E tuttavia, se questi "anti-sionisti" si attenessero alla loro logica ottocentesca, si dovrebbe chiamarli così. Per di più, questa argomentazione si basa sull'idea ingenua secondo cui, quando i popoli sono "naturalmente" vicini, non possono detestarsi tra di loro. La storia, in particolare quella del XX secolo, dimostra esattamente il contrario. I genocidi di massa (armeni, ebrei, cambogiani, tutsi) e i massacri come quelli nei Balcani sono stati commessi da persone culturalmente (ed "etnicamente", linguisticamente) vicine alle loro vittime.
* oppure - come fa Hamas (e, a seguire, molti "anti-sionisti" militanti e/o accademici) - fingono che l'antisemitismo sia un problema "fondamentalmente" "europeo": «Hamas è del parere che il problema ebraico, l'antisemitismo e la persecuzione degli ebrei siano tutti fenomeni fondamentalmente legati alla storia europea, e non alla storia degli arabi e dei musulmani o al loro destino». (“Amended” Hamas Covenant of September 2016, art. 17. https://www.middleeasteye.net/news/hamas2017-document-full )

Sul versante "anti-sionista", i contorti "argomenti" utilizzati dai protagonisti - per esempio, dal programma YouTube "Paroles d'honneur" [*5] - non sono migliori delle ciniche affermazioni dei Sionisti cristiani anglosassoni [*6] o da dei soggetti ultra-reazionari come Alan Dershowitz (regolarmente contrapposto a Norman Finkelstein nei programmi di Piers Morgan [*7]) o Douglas Murray, divenuto improvvisamente una sorta di "esperto" di geopolitica sul conflitto israelo-palestinese [*8], arrivando persino a intervistare Netanyahu [*9]. Tutti gli intellettuali più diversi e i gruppi menzionati in questo articolo credono e affermano di essere "avversari politici" o persino "nemici" tra di loro, ma hanno comunque in comune una cosa essenziale: sono incapaci di riconoscere tanto i deliberati crimini di guerra dell'IDF [Israel Defense Forces][*10] quanto i programmi e le intenzioni antisemite-genocide di Hamas e della Jihad islamica; il che rende questi "Sionisti" e questi "anti-sionisti" dei Campisti (che se ne vergognano o ne vanno fieri, a seconda dei casi). Per di più, queste due tendenze cancellano ogni differenza tra civili e combattenti armati: i "Sionisti" affermano che i combattenti di Hamas non indossano uniformi e che i palestinesi iniziano a diventare individui violenti in giovanissima età; mentre gli "anti-sionisti" considerano tutti i civili israeliani come se fossero potenziali soldati, a prescindere dall'età, dal momento che vengono indottrinati «fin dalla fase del biberon». Questa duplice cancellazione, questa duplice disumanizzazione, si rivela efficace, poiché gli ostaggi israeliani (ma anche quelli di altre nazionalità, tra cui 39 lavoratori thailandesi!) non possono più essere considerati innocenti, come non lo possono essere le vittime civili palestinesi dei massicci e micidiali bombardamenti dell'IDF.

A partire dal campismo classico per arrivare ai nuovi campismi "Sionisti" e "Anti-sionisti"
Propongo di definire il campismo "anti-sionista" come una «dottrina secondo la quale i crimini antisemiti e i genocidi commessi da Hamas e dalla Jihad islamica non sono esistiti, ma sono il prodotto di miti, di fabbricazioni e di frodi». Da notare, che esistono sia campisti antisionisti light (timorosi) che campisti hardcore (inferociti). Se si applica la stessa definizione anche ai crimini dell'IDF, ne risulta che a sua volta il campismo "Sionista" è una «dottrina secondo la quale, i crimini di guerra e i crimini contro l'umanità (per il momento [*11]) commessi dall'IDF non sono mai esistiti; ma sono un mito, una montatura, un imbroglio». Come i negazionisti dell'Olocausto, i campisti "Sionisti" e "Anti-sionisti" negano di distorcere la realtà o di falsificare i fatti. Tutti dispongono di "fonti affidabili", ma manipolano ugualmente le informazioni autentiche provenienti dal sito web israelo-palestinese +912, dal quotidiano israeliano Haaretz e dal canale Al-Jazeera (quest'ultimo è la punta di diamante della negazione dell'Olocausto [*12], ma è anche l'unico canale ad essere presente sul posto, motivo per cui i suoi giornalisti e corrispondenti vengono regolarmente presi di mira, "involontariamente" ovviamente, dal fuoco dell'IDF; su i24News e JNS TV, invece -che trasmettono un flusso permanente di propaganda fuorviante e cinica - non parlano mai in dettaglio dei risultati dei bombardamenti israeliani sia sulla popolazione palestinese che su tutti gli ospedali, le scuole, gli edifici amministrativi, le università e i condomini distrutti dall'IDF poiché, per loro, si tratta di "nidi di terroristi" che ospitano delle "bestie", o i loro complici. Il sito francese I24News è arrivato a invitare Julien Odoul, deputato dell'estrema destra Rassemblement National (il successore del Fronte Nazionale fondato da un gruppo di collaborazionisti fascisti e filonazisti), a parlare dell'antisemitismo della sinistra [*13] ; oppure il giornalista della rivista e del canale YouTube "Livre Noir" che si è infiltrato nel collettivo "Urgence Palestine" [*14], laddove questa pubblicazione, nello stesso numero, presenta due articoli compiacenti sui neonazisti. I Campi " Sionista" e " Anti-Sionista" sono maestri nell'esporre quelle che loro chiamano "manipolazioni mediatiche" e "cospirazioni" governative ("Imperialista americano" o “Sionista", da una parte, e "Antisemita", dall'altra); e si ammantano di indignazione morale per i massacri commessi da Tsahal (e dai coloni israeliani in Cisgiordania) o da Hamas e dalla Jihad islamica. Questa indignazione a senso unico si basa su un "ragionamento" assai limitato:
* I "Sionisti" spiegano infatti che la guerra produce sempre vittime collaterali [*15]; che Israele fa ogni sforzo per risparmiare i civili palestinesi; che Hamas usa la popolazione come uno scudo umano; e che bisogna eliminare il maggior numero possibile di membri di Hamas in modo che non possa più nuocere; e che se nessuno mette in discussione il bombardamento di Dresda (35.000 morti) il 13/14 febbraio 1945, o di Mosul (40.000 vittime civili) nel 2016-2017 , durante la guerra in Iraq [*16], perché mai si dovrebbe piangere sui morti di Gaza?
* Gli "Anti-sionisti" dichiarano che, nelle lotte anticoloniali, tutti i movimenti di resistenza hanno sempre ucciso civili innocenti al fine di ottenere la liberazione dei popoli oppressi di cui difendevano (o pretendevano di difendere) gli interessi; e che, in ogni caso, i "Sionisti" non hanno il diritto di difendersi [*17] e devono lasciarsi massacrare perché sono "coloni". La retorica dei campisti "Sionisti" e "Anti-Sionisti" può essere riassunta nel modo di dire «Non si può fare una frittata senza rompere le uova», oppure nella proposizione un po' più sofisticata «Il fine giustifica i mezzi [*18]». Tuttavia, come nel caso delle conquiste del cosiddetto "comunismo" sovietico e stalinista, ci è difficile capire dove sia l'omelette difficile capire dove si trovi la frittata che si suppone abbiano cucinato (o così tanto attivamente preparato)... Dal 1948, le strategie dello Stato di Israele e dei suoi governi, così come quelle dei cosiddetti movimenti di "liberazione nazionale" palestinesi, non hanno portato a risultati positivi né per gli israeliani né per i palestinesi. Lo "Stato ebraico" previsto nel 1947 dal piano di spartizione dell'ONU [*19] ( ovvero circa il 55% della Palestina sotto mandato britannico) controlla e occupa oggi, nel 2024, la maggior parte dello "Stato arabo" ipotizzato all'epoca ( che avrebbe dovuto disporre di circa il 44% della Palestina sotto mandato britannico - mentre il rimanente 1%, Gerusalemme, sarebbe stato posto sotto controllo internazionale) come testimoniano i quattro documenti allegati estratti da un articolo del 2018 di Cécile Marin su Le Monde diplomatique [*20] (vedi Immagine sopra)

Ma questa occupazione israeliana, sempre più violenta e assassina, sta portando lo Stato israeliano in un'impasse politica e militare sempre più profonda, fondata su una visione strategica e geopolitica suicida. Il colonnello Eran Lerman, ex membro dei servizi segreti israeliani ed ex consulente del governo [*21], distingue tre nemici ideologici di Israele, di importanza diseguale dall'inizio del XXI secolo: 1) al Qu'aida e i gruppi salafiti-jihadisti legati allo Stato Islamico (Iraq, Siria, Nigeria, Filippine, ecc.); 2) i Fratelli Musulmani (un movimento "islamista totalitario", secondo Lerman) e i suoi sostenitori, l'AKP turco e il Qatar; 3) l'Iran, il nemico più pericoloso, che ha ambizioni di egemonia nel mondo arabo-musulmano, utilizzando proxy (Hezbollah, Jihad islamica, milizie in Iraq e Siria) e alleati (Houtis e Hamas) pur restando diffidente nei loro confronti. Come unica soluzione, egli vede l'uso della forza (compresa la distruzione di tutti gli impianti nucleari in Iran) e un'alleanza con quello che chiama il "campo della stabilità", ovvero l'Autorità Palestinese, i curdi iracheni e alcuni Stati "arabo-musulmani" (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Arabia Saudita) al fine di contrastare il nemico principale: l'Iran e i suoi ausiliari o satelliti. Allo stesso tempo, «Questo è un “campo”»; definito, in altri termini, più da ciò che rifiuta (le offerte islamiste per il potere, nelle loro varie forme e colori) e da ciò che lo spaventa (soprattutto, la sensazione che la politica americana li lasci esposti al pericolo, con l'amministrazione Obama fin troppo desiderosa di assecondare sia l'Iran che i Fratelli Musulmani), piuttosto che da ciò che approva come visione per il futuro. Su alcune questioni (...), ci sono dei profondi disaccordi, anche tra attori strettamente allineati come l'Egitto e l'Arabia Saudita. [*22] Quanto a movimenti come Hamas e la Jihad islamica (per non parlare di Hezbollah e di altri movimenti politico-religiosi), essi pretendono di condurre una "resistenza anticoloniale"quando invece stanno difendendo l'integrità della Ummah musulmana. dei territori, come afferma il Patto di Hamas "emendato" del 2016 [*23]. Il desiderio di Hamas e della Jihad islamica di annientare l'"entità Sionista" e di cacciare i "coloni" israeliani, "dal fiume al mare", corrisponde chiaramente a un progetto genocida antisemita - peraltro destinato al fallimento vista la sproporzione di forze, anche considerando la folle ipotesi dell'uso concomitante di armi nucleari da parte di Israele e Iran. La sinistra identitaria e "de-coloniale", così come l'estrema sinistra classica (o ciò che ne rimane), nella loro propaganda relativista, a malapena si distinguono da Hamas e dalla Jihad islamica, dal momento che minimizzano o travisano le intenzioni di questi movimenti islamisti (intenzioni che sono chiaramente annunciate nei loro documenti programmatici).[...] L'estrema sinistra presenta queste posizioni di Hamas come piccole differenze tattiche e, insieme alla sinistra identitaria, nega la portata e il significato dei crimini del 7 ottobre e del trattamento riservato agli ostaggi (stupro e omicidio il 7 ottobre, poi certamente la prigionia). Quanto ai Sionisti Cristiani anglosassoni o ai cosiddetti media "filo-israeliani", essi negano o minimizzano a loro volta i crimini commessi dall'IDF; trasmettono immagini di bancarelle piene di merci a Gaza; magnificano i lanci aerei di aiuti umanitari, o quelle poche decine di camion che l'IDF lascia passare [*24] (prima del 7 ottobre, a Gaza arrivavano cinquecento camion al giorno, e questo era già notoriamente insufficiente, dato il blocco), mentre sostengono che la maggior parte dei morti palestinesi erano soldati di Hamas, oppure impegnandosi in inutili polemiche sui dati del Ministero della Salute di Gaza [*25], ecc.
  
Il campismo " Sionista "...
Questo campismo "sionista" offre un'ampia gamma di sfumature, dai media anglosassoni "sionisti cristiani", che confondono gazani e islamisti, al canale in lingua francese I24, che elogia costantemente l'esercito israeliano, produce pseudo reportage incentrati sull'IDF o dà voce solo alle vittime dei massacri del 7 ottobre, senza mai intervistare le vittime dei bombardamenti israeliani (che potrebbe intervistare tranquillamente [*26], visto che lavora in stretta collaborazione con l'IDF!!!); o il programma in lingua francese Mosaïque [*27], rivolto a un'audience più intellettuale, e che si focalizza sulla psicologia collettiva degli "Arabi" e dei "Musulmani", in modo da coprire i crimini di guerra israeliani per mezzo di ipotesi culturaliste o essenzialiste. Questo programma invita persone che fanno l'apologia di Trump Guy Milliére [*28], oppure che ritengono (secondo lo storico Georges Bensoussan) che il rapporto tra combattenti di Hamas e vittime civili sia 50/50 - o tutt'al più costituito per 1/3 da combattenti di Hamas e per 2/3 di vittime palestinesi - sia la prova definitiva che Israele ha dimostrato una grande "moderazione".

...e il campismo " Anti-sionista " sono fratelli gemelli
Anche il campo "Anti-sionista" è molto eterogeneo: si va dall'agitatore Norman Finkelstein, che ha cominciato esultando per il 7 ottobre [*29], a Rima Hassan, avvocatessa e candidata alle elezioni europee per il movimento social-nazionalista (di "sinistra") "La France Insoumise". Ma ci sono anche altre personalità delle quali ci occuperemo più tardi, perché prima dobbiamo citare il caso della signora Hassan, secondo la rivista radicale...Forbes una delle 40 «donne dell'anno» !!!
È difficile trovare testi o discorsi che descrivano le posizioni di questa attivista e giurista franco-palestinese. Sui media, la signora Hassan ripete continuamente che l'esistenza di Hamas è "legittima", secondo quelli che sono i criteri dell'ONU, dal momento che questo movimento resiste alla colonizzazione israeliana. Si noti che Hamas, nel suo Patto del 2016 ("emendato"), negli articoli 23, 25 e 39, usa lo stesso linguaggio: «Resistenza e jihad per la liberazione della Palestina resteranno un diritto LEGITTIMO»; «Resistere all'occupazione con tutti i mezzi e i metodi è un diritto LEGITTIMO garantito dalle leggi divine e dalle norme internazionali»; «Da un punto di vista legale e umanitario, la liberazione della Palestina è un'attività LEGITTIMA, un atto di autodifesa» (le maiuscole sono mie). In ogni caso, in un suo recente discorso, Rima Hassan paragona il Giudeocidio a quella che lei definisce la «disappearance» [*30] dei Palestinesi. Sebbene stia attenta a spiegare che gli 800.000 palestinesi espulsi nel 1948 non siano realmente "scomparsi" (nel senso, aggiungerei, dei "desaparecidos" argentini i cui corpi non sono mai stati ritrovati), ma che essi vivono in campi di accoglienza in vari Paesi, oltre che a Gaza e altrove, l'ambiguità del termine "sparizione" colpisce. Per quanto la signora Hassan si rifugia dietro l'autorità di Edward Saïd, che ha tracciato un parallelo tra la Shoah e la Nakba, questo genere di paragone equivale a fare degli israeliani gli eredi dei nazisti, cosa oggi banale e diffusa a sinistra [*31]. Nella variegata tavolozza politica dei campisti "anti-sionisti", non va dimenticata la politica "de-coloniale" Françoise Vergès [*32], né il colonnello Jacques Baud, ufficiale dell'esercito svizzero e membro dei servizi segreti. Questo «esperto di armi chimiche e nucleari» è diventato il beniamino dei media "alternativi"... ma anche dell'estrema destra. Per quel che riguarda l'estrema destra, è stato intervistato da Sud Radio [*33] e da Livre Noir; per quanto riguarda la sinistra, ha parlato con "Media" [*34], social-nazionalista di "sinistra", e con il giornale belga "cittadino", femminista e antirazzista, "Allohanews" [*35]. Secondo Baud, Hamas non è affatto antisemita, come è dimostrato dal suo... Patto [*36], e in Sudan i cattolici non hanno alcun problema [*37]. Il colonnello Baud ha lavorato e vissuto per qualche tempo in quel Paese che si trovava sotto una dittatura militar-islamista, ma non si è accorto che tale regime è durato trent'anni e ha introdotto la pena di morte per apostasia! Più grande è la menzogna, e più è probabile che essa arrivi al campo "anti-sionista".

Alcune vecchie tecniche utilizzate dai campisti
I campisti "Sionisti" e "Anti-sionisti" utilizzano tattiche vecchie:
1) Entrambi gli schieramenti cercano di confutare le testimonianze delle vittime, enfatizzandone le contraddizioni e le implausibilità, sia che questo riguardi le donne israeliane violentate il 7 ottobre o dopo; o che riguardi le fake news sui «40 bambini decapitati» che gli "Anti-sionisti" si dilettano a rievocare all'infinito; così come le conseguenze criminali del blocco israeliano, prima, e poi quelle dei bombardamenti dell'IDF a Gaza, ecc.;
2) Essi utilizzano più fonti, ma non le contestualizzano mai, né tantomeno si preoccupano della loro autenticità: qualsiasi storia o voce viene accettata da entrambe le parti, purché serva alla loro causa (per i "Sionisti", i «40 bambini decapitati»); per gli "Anti-sionisti", gli elicotteri israeliani che avrebbero ucciso una gran parte dei partecipanti al Nova Festival, per cui (secondo Al-Jazeera) i corpi che non sono stati identificati sono quindi di palestinesi, e non di israeliani, ecc;
3) Denigrano, e cercano di ridicolizzare anche le descrizioni più terribili, tanto nel caso dei massacri di Hamas o di quelli dell'IDF, in particolare per quanto riguarda le sofferenze patite da bambini e donne;
4) Al fine di confondere i loro interlocutori disinformati, nelle loro affermazioni mescolano il vero con il falso (ad esempio, i campisti "Anti-sionisti" usano false citazioni di Herzl [*38], o di Ben Gourion [*39] accompagnandole con citazioni vere; oppure cercano di far credere che i fascisti e i nazisti sarebbero sempre stati a favore del sionismo [*40].
5) Attaccano qualsiasi relazione, o analisi politica seria che non sia conforme ai loro principi ideologici, accusando i giornalisti, gli storici o gli specialisti di geopolitica di mentire, di essere incompetenti, o addirittura di essere al servizio del "Sionismo" o del «terrorismo islamico».

Queste stesse tattiche sono state utilizzate dai negazionisti dell'Olocausto di estrema destra. Ciò che sembra invece relativamente nuovo è che sul versante "Sionista", i campisti approfittano delle mediocri polemiche che oppongono la sinistra identitaria alla destra, per denunciare il "wokismo", il totalitarismo "islamico-di sinistra" e gli attacchi alle "conquiste democratiche" dell'"Occidente liberale"; nel mentre che invece i campisti "Anti-sionisti" denunciano il "panico morale" propagandato dall'intellighenzia neoconservatrice, l'estensione globale dell'"illiberalismo", persino del "fascismo", a partire da Netanyahu a Orban passando per la Meloni, mescolando tutti questi temi in nome di una mitica "intersezionalità" dei soggetti e delle lotte: ecologia, transfobia, omofobia, sionismo, colonialismo, femminismo, razzismo, imperialismo e così via. Come conclusione, una rassegna concreta di alcuni esempi di incoerenza dei "campisti Anti-sionisti", i metodi e le argomentazioni incoerenti:

1) Il loro primo obiettivo è quello di minimizzare l'entità del massacro commesso il 7 ottobre e di far credere che l'IDF abbia deliberatamente ucciso degli israeliani, senza specificare né il luogo né il numero di persone uccise. Ad esempio, Wissam, nel suo programma YouTube "Paroles d'honneur", sostiene che «spesso, molti [*41] crimini attribuiti ad Hamas (...) sono stati poi smentiti dai giornalisti, in particolare da quelli di Haaretz, e dagli organismi internazionali [*42]». Tuttavia, però, Wissam non cita nessuno di questi crimini (in particolare, gli stupri), né fornisce alcun dato o fonte. Eccetto un singolo articolo del quotidiano francese Libération, di cui riproduce il titolo, ma non il contenuto. Infatti, Wissam sostiene che «l'ipotesi che gli elicotteri israeliani abbiano causato vittime tra i partecipanti al rave party, è da prendere sul serio», mentre invece il giornalista di Libération scrive che si tratta di una voce ampiamente diffusa da Hamas. In ogni caso, l'articolo di Haaretz non fornisce alcun dettaglio su questo elicottero, che nella confusione potrebbe aver commesso un terribile errore : «Un paragrafo all'inizio dell'articolo [del quotidiano israeliano] spiega che "secondo una fonte della polizia, le indagini indicano anche che un [*43] elicottero cannoniera delle forze armate israeliane che è arrivato sul posto e ha sparato sui terroristi ha colpito anche i partecipanti al festival» (...). «Non è tuttavia possibile dire se alcune persone siano morte in conseguenza di ciò». Haaretz «non fornisce una stima del numero di civili che potrebbero essere stati colpiti o uccisi. Il quotidiano non indica il luogo dell'incidente». Ovviamente, il nostro falsificatore "anti-sionista" nasconde questa informazione data dall'articolo pubblicato su Haaretz. E aggiunge: «Numerosi testimoni oculari mettono in dubbio la versione israeliana dell'attacco al kibbutz», senza citare una sola fonte, quando invece lo stesso articolo pubblicato sul quotidiano francese Libération si conclude con questa frase molto chiara: «Decine di video consultati da "Check News", a volte filmati da telecamere portate dagli assalitori, mostrano membri delle brigate di Hamas che giustiziano i civili con granate o con armi da fuoco, sia sul luogo del festival che nel kibbutz sotto attacco».
2) L'obiettivo è ovviamente quello di negare a Israele il diritto all'esistenza (ivi compreso quello di "Stato ebraico", così come richiesto dall'ONU nel 1947 [*44]), dal momento che il massacro del 7 ottobre è stato, secondo le "Paroles d'honneur", un semplice "attacco" (non un massacro?) da parte dei "palestinesi" (chi?) contro "il territorio israeliano, la Palestina occupata", che deve essere svuotato dei suoi abitanti ebrei e israeliani, così come dai thailandesi (si veda il punto successivo). Questa negazione del diritto di Israele all'esistenza non è nemmeno ipotizzata, come dimostra questo manifesto per una manifestazione social-nazionalista di "sinistra" del 19 aprile, dove Gaza, Israele e la Cisgiordania vengono rappresentati colorandoli in rosso, come un blocco. Ma questo piccolo errore visuale è rivelatore, così come quello verbale del quale parleremo nella prossima sezione.
3) Secondo il giornalista di "Paroles d'honneur", «I palestinesi hanno il diritto di difendersi, ma gli israeliani non hanno il diritto di farlo». Questa affermazione ha quanto meno il pregio della chiarezza. Ciò che i campisti "Anti-sionisti" difendono è il diritto dei "palestinesi" (chi?) di uccidere gli ebrei perché sono essi sono tutti "coloni", compresi i discendenti di quegli ebrei che sono lì da secoli, molto prima degli arabi o dei palestinesi. Inoltre, il 7 ottobre 2023, Hamas ha ucciso non solo civili e soldati israeliani, ma anche 39 braccianti thailandesi. Il massacro di 39 proletari asiatici, che non hanno nulla a che vedere né con il "Sionismo" né con la religione ebraica, non merita nemmeno di essere menzionato dai quei campisti "Anti-sionisti" e "Antimperialisti" che usano sempre la parola "razzializzato", tranne quando si tratta dei thailandesi assassinati da Hamas e dai suoi complici. Anche la filosofa Judith Butler [*45] ha taciuto sull'omicidio dei 39 thailandesi, dichiarando che quella che lei chiama «la rivolta del 7 ottobre» è stata un «atto di resistenza armata contro un apparato statale coloniale», e non è stato un attacco antisemita bensì "anti-israeliano". Un silenzio analogo, da parte di Michèle Sibony dell'UJFP (un gruppo simile al JVP, negli Stati Uniti): egli denuncia "massacri coloniali", "empatia selettiva", "islamofobia", la "gerarchia delle vittime", la "disumanizzazione", i "discorsi del padrone", le "centinaia di migliaia di sacrifici umani" (sic!) commessi dagli israeliani, ma dimentica però di menzionare i 39 lavoratori thailandesi uccisi da Hamas e si riferisce solo alle vittime «di Israele» [*46].
4) Nel momento in cui i militanti "anti-sionisti" si rendono conto che il loro sostegno a favore di Hamas è traballante, per celebrare quella che chiamano «l'eroica resistenza di Gaza» si appellano allora a ciò che essi ritengono essere la storia, collegandola alle lotte del passato. Così Norman Finkelstein evoca «la resistenza armata di John Brown alla schiavitù» e «gli ebrei che si ribellarono nel ghetto di Varsavia».[*47]. Come nel caso del relativista Wissam, anche lui sostiene che «Contro gli afrikaner, l'ANC si è resa colpevole di aver massacrato dei civili», come se si trattasse di gloriose imprese d'armi, e come se così avesse contribuito in qualche modo alla fine dell'apartheid. L'attacco più efferato, quello di Christchurch, ha ucciso 19 persone, tra cui 8 neri che non erano "afrikaner"; gli ignoranti campisti "anti-sionisti" hanno la deplorevole tendenza a scordarsi delle cosiddette vittime "razzializzate", allorché ad ucciderle sono i loro amici politici (ieri l'ANC, oggi Hamas). Alla disperata ricerca di munizioni "Anti-sioniste", "Paroles d'Honneur" invoca il sostegno dello scrittore fascista Drieu la Rochelle, il quale, nel 1967, aveva appoggiato Israele. Sfortunatamente per i suoi fan, Wissam non sa nemmeno di cosa sta parlando.
Come ha fatto notare un lettore nei commenti al video: «Pierre Drieu La Rochelle associa l'"ebreo" all'abitante della città che è sprofondato nel capitalismo. In altre parole, egli essenzializza l'ebreo in quanto simbolo del capitalismo cittadino (in una dialettica antisemita)»;  lo si vede, ad esempio, quando spiega loro che «[per La Rochelle]Gli ebrei sono noi stessi resi "grimacing" [smorfiosi] dalla vita della grande città. Mi sembra che stiate facendo lo stesso, essenzializzando l'uomo bianco in quanto simbolo del dominio in una dialettica altrettanto razzista. (...) La frase che avete appiccicato a Pierre Drieu La Rochelle è in gran parte estrapolata dal contesto (...), e soprattutto la difesa del progetto sionista è per lui secondaria, se non inesistente». Come per lo scrittore fascista Lucien Rebatet, anch'egli invocato come sostenitore di Israele dal falsificatore "antisionista" Wissam, attraverso una dichiarazione di sostegno allo Stato ebraico, fatta nel 1967 dopo una vita di sostegno alle idee antisemite. Se i campisti "anti-sionisti" fossero seri, farebbero più attenzione al prolungato supporto dato da Hitler e dai nazisti alla causa palestinese, così come al sostegno dei movimenti fascisti e neo-fascisti ai movimenti di liberazione nazionale nei Paesi cosiddetti "arabi" (o "arabo-musulmani"), e al sostegno dato dall'estrema destra neofascista italiana alla causa palestinese. Inoltre, lo stesso Wissam sottolinea come "gli anti-sionisti" e gli antifascisti abbiano talvolta dovuto espellere gli attivisti di estrema destra dalle manifestazioni per la Palestina; il che distrugge la sua tesi secondo cui «gli ebrei sono più al sicuro nei movimenti pro-Palestina» poiché «in questi ambienti il discorso antisemita è più criticato»...
Quindi, vuole farci credere che i luoghi in cui gli ebrei sarebbero più al sicuro sarebbero proprio i luoghi dove si riversano i partigiani di Soral e Dieudonné [*48] (e, aggiungerei, anche gli islamisti antisemiti "filopalestinesi")?

Yves Coleman"Ni patrie ni frontières", Aprile 29, 2024

NOTE:

[1] - L'"Anti-sionismo" è tanto confuso e incoerente, se possibile, quanto lo è il "Sionismo" a cui pretende di opporsi. Ecco perché metto sistematicamente entrambi i termini tra virgolette.
[2] - https://npnf.eu/spip.php?article1151 - “Has Doorbraak joined the herd of the “antizionist” deniers ?”
[3] - Ancora una volta, questa è la favola che ci viene servita da Michèle Sibony dell'UJFP in occasione di un "incontro ebraico internazionale" del 30 marzo 2024 - https://www.youtube.com/watch?v=kYrqNTZ28YM.
[4] - I "Sionisti Cristiani" americani non sono necessariamente di estrema destra, o addirittura razzisti nei confronti degli afroamericani, dal momento che mobilitano una parte conservatrice della comunità nera, mentre l'estrema destra fascista o neonazista americana, nota come suprematista, è invece per lo più "Anti-sionista".
[5] - "Réponse aux sionistes de gauche de Médiapart (et d’ailleurs)": https://www.youtube.com/watch?v=lTwQK4CEW50. Il testo può essere trovato su un blog Mediapart e qui:  https://npnf.eu/spip.php?article1144 .
[6]  -Senza dubbio, è sui video del Ayn Rand Center UK, o su Ayn Rand Institute che ho trovato i peggiori esempio di campismo "Sionista", come il video “Aid Workers Killed in Gaza-Were They Innocent?” dove lo speaker rimprovera Netanyahu per aver riconosciuto che l'omicidio degli operatori umanitari di World's Kitchen era un errore, e che dovevano essere liquidati!
[7] - https://www.youtube.com/watch?v=7ZEpPVOnIRM
[8] - See this video entitled “Douglas Murray’s Raw Opinion on the Israel-Gaza Conflict” https://www.youtube.com/watch?v =WRbtzDOtBAY&t=14s .
[9] - https://www.youtube.com/watch?v=F57xdV_mIsA.
[10] - Come dimostrato dall'uso dell'intelligenza artificiale per rilevare la possibile presenza di combattenti di Hamas calcolando la percentuale di vittime civili ( https://www.972mag.com/mass-assassination-factoryisrael-calculated-bombing-gaza/ ); oppure la volontà di controllare, già nel 2007, il cibo della popolazione di Gaza calcolando il numero di calorie a cui avrebbero dovuto avere diritto mentre, dal 7 ottobre, lasciava passare solo solo il 12% del cibo corrispondente ai suoi calcoli.
[11] - Scrivo "per il momento" perché, sebbene nulla impedisca allo Stato israeliano di compiere un giorno un genocidio (il fondamento di uno Stato non è la morale o l'umanesimo, ma l'uso della forza per difendere gli interessi delle classi dominanti pretendendo di servire gli interessi di un popolo su un determinato territorio), non dobbiamo abusare del termine, come hanno fatto i negazionisti dell'Olocausto di estrema destra per relativizzare i crimini nazisti; o gli stalinisti sovietici e i loro complici in tutto il mondo, in particolare per far dimenticare il patto tedesco-sovietico e la loro apatia di fronte al giudeocidio durante la Seconda guerra mondiale.
[12] -  Cf. Richard Sanders’ disgusting interview on his film about October 7 broadcast on Jazeera, https://www.youtube.com/watch?v=IIqzVIbQBoQ&t=792s .
[13] - https://www.i24news.tv/fr/actu/international/europe/artc-france-le-depute-julien-odoul-rndemande-la-dissolution-du-collectif-urgence-palestine
[14] - https://www.youtube.com/watch?v=9AwgWdA08Ak
[15] - Così, in merito all'uccisione ("involontaria"!?) di sette operatori umanitari dell'ONG World Central Kitchen da parte di tre successivi attacchi di droni israeliani, Benyamin Netanyahu ha dichiarato il 2 aprile 2024: «Sfortunatamente questo accade in tempo di guerra», e ha già affermato cinque mesi prima: «Ogni morte di civili è una tragedia (...) facciamo tutto il possibile per allontanare i civili dal pericolo"»(16/11/2023, sulla CBS).
[16] - https://www.sciencespo.fr/ceri/fr/oir/la-bataille-de-mossoul-lapogee-de-la-guerreconfessionnelle-en-irak .
[17] - See https://www.youtube.com/watch?v=lTwQK4CEW50 .
[18] - Su questo si legga l'eccellente testo di Moishe Postone su: https://francosenia.blogspot.com/2024/02/moishe-postone-sulla-rote-armee.html
[19] - “Resolution 181 adopted by the United Nations General Assembly on November 29, 1947, recommended the partition of Palestine between a Jewish state and an Arab state, proposing a «corpus separatum» for the Holy Places: 14,000 square kilometers, with 558,000 Jews and 405,000 Arabs for the  Jewish state; 11,500 square kilometers, with 804,000 Arabs and 10,000 Jews for the Arab state; 106,000 Arabs and 100,000 Jews for the international zone that would have included the Holy Places, Jerusalem  and Bethlehem. Between the two states, an economic, monetary, and customs union was planned.” https://mjp.univ-perp.fr/constit/il1947.htm
[20] - https://www.monde-diplomatique.fr/cartes/morcellement
[21] - “The Game of Camps: A Strategic Overview of the Middle East” - https://www.youtube.com/watch?v=nO2jw6N58HU
[22] - https://besacenter.org/wp-content/uploads/2016/09/MSPS124-1.pdf, 2016 .
[23] - Source: https://www.middleeasteye.net/news/hamas-2017-document-full .
[24] - Such as this article from the American Jewish Committee : “We are now trying to flood the area with supplies,” IDF spokesman Rear Admiral Daniel Hagari told reporters on March 13. (...) Israel believes food supplies are stable in the southern Gaza Strip, where markets are bustling and stocks are piling up in humanitarian agency warehouses”. Or this other one: “Hamas steals food from its citizens, but Israel is blamed”, https://www.jns.org/hamas-steals-food-from-its-citizens-yet-israel-gets-blamed/
[25] - ”Hamas falsifies casualty figures: ‘The numbers are not real‘"  https://www.jns.org/hamas-fakescasualty-figures-the-numbers-are-not-real/ .
[26] - Let’s be honest: I24News (very rarely) gives Palestinians a voice, but first they will go through the hands of Israeli cops and soldiers, as their bruised faces testify.
[27] - https://www.youtube.com/channel/UCLi6NkIfz2vIIB5rlDYj7kA/about
[28] - https://www.youtube.com/watch?v=c19HA9c4xFs
[29] "Per quanto mi riguarda, non rimpiangerò mai - al contrario, riscalda ogni fibra della mia anima - le scene dei bambini sorridenti di Gaza mentre i loro arroganti oppressori suprematisti ebrei sono stati finalmente umiliati. Le stelle del cielo guardano con benevolenza. Gloria, gloria, alleluia. Le anime di Gaza continuano a marciare". Per maggiori dettagli, si rimanda al mio articolo: "Su alcuni "ragionamenti" ingannevoli della sinistra compatibile con Hamas".:  https://npnf.eu/IMG/pdf/about_the_hamas-friendly_left-2.pdf
[30] - Anche il media Blast ha usato la parola "sparizione" in un programma intitolato "L'obiettivo di Israele è far sparire i palestinesi con Rony Brauman" ( https://www.youtube.com/watch?v=sFLwAyxkxOc ). E Brauman (ex presidente dell'ONG Medici senza frontiere) spiega che questa strana "sparizione" equivale a un genocidio, ma che genocidio non significa sterminio di tutti i palestinesi. Dubito che la maggior parte degli "antisionisti" sia in grado di capire la differenza, data la loro retorica negazionista dell'Olocausto e l'ignoranza della storia del popolo ebraico e del nazismo. È un disservizio per le giovani generazioni usare i termini genocidio o sparizione. Queste giovani generazioni, come gli attuali studenti di Sciences Po - la futura "élite della nazione", sembra? - che nella loro recente protesta non conoscevano il significato di mani insanguinate e hanno spiegato di essere nati dopo il 2000 - la nuova scusa dell'analfabetismo politico è stata immediatamente ripresa da diversi siti web "radicali".
[31] - Come dimostrano la compiacente intervista a Blast e il compiacimento del cabarettista Guillaume Meurice ( https://www.youtube.com/watch?v=D-5sz_JLYOo) che ha fatto una "battuta" su "Netanyahu, un nazista senza prepuzio", o l'evocazione di Eichmann da parte di Mélenchon sul presidente dell'Università di Lille.
[32] - Si rifiuta di considerare i massacri del 7 ottobre come crimini (cfr. il suo intervento all'incontro con Judith Butler, 3 marzo 2024) e considera sia Hamas che "gli Houthi" (sic) come "combattenti della resistenza". Per quanto pretenda di essere "decoloniale", la signora Vergès ignora che gli Houti preferiscono chiamarsi "i partigiani di Dio" perché rifiutano "Houthi" come appellativo tribale.
[33] - https://www.youtube.com/watch?v=WF2tScntZSE
[34] - https://www.youtube.com/watch?v=ba0MCF4Jqk4
[35] - https://www.youtube.com/watch?v=6-7UXQwnK4M. Un media doppiamente relativista, visto che il suo intervistatore insiste nel paragonare il "sionismo" al nazismo e suggerisce (con l'assenso del colonnello-spia svizzero Baud) che la maggior parte dei partecipanti al rave party sono stati uccisi dagli stessi israeliani!
[36] - Hamas Covenant of 1988 ( https://avalon.law.yale.edu/20th_century/hamas.asp ) è totalmente impregnato di antigiudaismo e antisemitismo, come dimostrano le seguenti citazioni:
° "La nostra lotta contro gli ebrei è molto grande e molto seria".
° "Il Giorno del Giudizio non verrà finché i musulmani non combatteranno gli ebrei (uccidendo gli ebrei), quando l'ebreo si nasconderà dietro pietre e alberi". (riferito da al-Bukhari e da Moslem)."
° "Israele, l'ebraismo e gli ebrei sfidano l'Islam e il popolo musulmano. "Che i codardi non dormano mai"".
° "Il loro piano è incarnato nei "Protocolli degli Anziani di Sion", e la loro attuale condotta è la migliore prova di quanto stiamo dicendo".
° "Non c'è via d'uscita se non concentrando tutti i poteri e le energie per affrontare questa nazista e feroce invasione tartara".
° " Sono stati gli artefici della Prima Guerra Mondiale, quando sono riusciti a distruggere il Califfato islamico, ottenendo guadagni finanziari e controllando le risorse. Hanno ottenuto la Dichiarazione Balfour, hanno formato la Società delle Nazioni attraverso la quale hanno potuto governare il mondo. Furono artefici della Seconda guerra mondiale, attraverso la quale ottennero enormi guadagni finanziari con il commercio di armamenti e spianarono la strada alla creazione del loro Stato.  Sono stati loro a istigare la sostituzione della Società delle Nazioni con le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza per poter governare il mondo attraverso di loro. Non c'è guerra in corso da nessuna parte senza che ci sia il loro zampino". (Questa versione è stata presumibilmente "modificata" nel 2016).
[37] - Eppure la persecuzione anticristiana in questo Paese è stata denunciata almeno dal 1992 dal Vaticano. Un giornalista del quotidiano cattolico La Croix ha scritto il 20 luglio 2022: "Il governo di transizione del Sudan, che è succeduto alla dittatura militare-islamista, si è impegnato per la libertà religiosa. Ma il colpo di Stato dell'ottobre 2021 ha segnato il ritorno dei discorsi di odio e di altri arresti arbitrari contro la piccola minoranza cristiana".
[38] - La citazione errata più nota è "Una terra senza popolo per un popolo senza terra", la cui invenzione è stata attribuita a molti intellettuali sionisti (sebbene sia stata usata per la prima volta nel 1843 da un pensatore evangelico scozzese) e che è stata ritenuta fondamentale dagli antisionisti, in barba alla verità storica: Cf. https://k-larevue.com/une-terre-sans-peuple-pour-un-peuple-sans-terre/
[39] - Rima Hassan, ad esempio, ha diffuso ampiamente due citazioni immaginarie di Ben Gourion: "Israele diventerà uno Stato di apartheid se non riuscirà a liberarsi della sua popolazione araba"; e "Cacciateli via, i vecchi moriranno e i giovani dimenticheranno", la prima in un programma televisivo virale su YouTube, la seconda su Facebook.
[40] - Cf. the articles written by Gerry Ben Noah (https://www.workersliberty.org/index.php/story/2019-02-13/critique-lenni-brenners-zionism-age-dictators) and Paul Bogdanor ( http://fathomjournal.org/anantisemitic-hoax-lenni-brenner-on-zionist-collaboration-with-the-nazis/ ) ; and my articles: «L’antisionisme: une vieille position toujours actuelle dans l’extrême droite antisémite nordaméricaine” (https://npnf.eu/spip.php?article1148) and “Continuité de l’antisionisme fasciste italien: Ordine Nuovo – Casa Pound – Forza Nuova” (https://npnf.eu/spip.php?article1149).
[41] - I’ve underlined certain words in bold in the quotes from “Paroles d’honneur”.
[42] - Bad luck for the “anti-Zionist” campists, the UN report released on March 4, 2024, despite its caution, leaves little doubt: https://www.liberation.fr/international/moyen-orient/attaque-du-hamas-lonudit-avoir-de-bonnes-raisons-de-croire-que-des-viols-ont-ete-commis-sur-des-victimes-et-des-otages20240305_SWSDFVYESVCETDBSSZPTEDLU7Y/
[43] - Underlined by me.
[44] - Una risoluzione che Hamas rifiuta, anche nel suo Patto "emendato" del 2016. Permettetemi di ripetere questa informazione, ignorata da tutti gli "antisionisti".
[45] - L'intervento integrale di Judith Butler del 3 marzo 2024 può essere ascoltato qui: "Contre l'antisémitisme et pour la paix révolutionnaire" (Contro l'antisemitismo e per la pace rivoluzionaria) https://www.youtube.com/watch?v=rlQNBJOq-0E. Si noti l'assurda innovazione teorica della "pace rivoluzionaria" per una persona che sostiene Hamas come "movimento di resistenza"... Dopo l'"amore rivoluzionario" di Houria Bouteldja per gli ebrei  (https://mitpress.mit.edu/9781635900033/whites-jews-and-us/), avremo presto un "omicidio rivoluzionario" o una "tortura rivoluzionaria"?
[46] -  https://www.youtube.com/watch?v=kYrqNTZ28YM
[47] - Cfr. il mio articolo "Norman Finkelstein pourra-t-il tomber encore plus bas après ses declarations sur le massacre du 7 octobre?" (Norman Finkelstein può sprofondare più in basso dopo le sue dichiarazioni sul massacro del 7 ottobre 2023?). (https://npnf.eu/spip.php?article1122 ).
[48] - Alain Soral è uno scrittore, editore e agitatore "nazional-socialista" famoso sui social network. Dieudonné è un cabarettista che ha fatto coppia per anni con un comico ebreo, Elie Seimoun, ed è stato un'icona del movimento antirazzista. Con centinaia di migliaia di seguaci come Soral, Dieudonné è stato persino candidato a sinistra contro il Fronte Nazionale in un'elezione locale nel 1997, finché non è diventato... negazionista dell'Olocausto, intorno al 2004, e candidato per un misterioso partito "antisionista" (finanziato dall'Iran) con il fascista Soral nel 2012. Entrambi sono propagandisti antisemiti e antisionisti e pretendono di difendere i musulmani con argomenti diversi, essendo Dieudonné un cattolico e Soral un ateo in stile nazista. Nel 2009, Dieudonné è stato invitato dal regime di Teheran a partecipare a un festival di cortometraggi di 10 giorni come membro della giuria.

fonte: Ni patrie ni frontières

martedì 30 aprile 2024

Aspettando il 1° Maggio…

Uno sente cantare, «…una mattina mi son svegliato e ho trovato l'invasor». E ti vien da dire, «ma come, una mattina? erano vent'anni e più che c'erano gli invasori, e tu arrivi, tomo tomo cacchio cacchio, e dici: eccoli gli invasori! Ecchecazzo e gli era un po' che si diceva...».

E così, non si sa come - ma si sa quando - ecco che quella canzone bella pulita, senza rosse primavere da conquistare o altri ammennicoli politicamente scorretti, si fa strada fino a diventare "la canzone ufficiale della resistenza". E cosa importa se, tolta qualche zona del reggiano, o attorno a Bologna, nessuno la conosceva né, tantomeno, la cantava? Ma c'era gente ben abituata alle strategie mediatiche, ben dentro il PCI. Si erano fatti le ossa con i fratelli Cervi che - da anarchici pericolosi da mettere in condizioni di non nuocere alla causa partigiana – erano stati trasformati, grazie alla sapiente regia di Italo Calvino su ordine di Palmiro Togliatti ,in icone della resistenza. Così va la vita! O certo qualcuno insinuava che la soffiata sui fratelli Cervi ... ma no, Togliatti certe cose le faceva in Spagna, mica a casa sua!

In ogni modo, basta poco, a metà degli anni Sessanta, per far decollare il successo inarrestabile di "Bella Ciao" danno in televisione uno sceneggiato tv (con Lino Capolicchio, mi pare) dove fa da sigla, facendola cantare a mezza Italia, da una parte, nel mentre che, sul versante "colto", arriva Giovanna Daffini - mondina e cantastorie - che al microfono di Bosio e Leydi ne canta una versione “precedente”, mondina e lavoratrice. Abbiamo l'anello mancante! E considerato che la canzone non dispiace neppure alla Democrazia Cristiana e, addirittura, alle Forze Armate, vediamo le associazioni partigiane cogliere la palla al balzo, in quello che è un loro ennesimo tenero e triste tentativo della ricerca di strumenti di unificazione ben avvolti dal tricolore. E poi c'era il Ventennale, in quel momento!

La cosa diventa assai più divertente quando certo Vasco Scansani da Gualtieri (lo stesso paese della Daffini) scrive, nel maggio 1965, all'Unità dichiarando di essere l'autore della canzone in questione. «Bella ciao l'ho scritta io, nel 1951!» - dichiara. Le cose si ingarbuglieranno ulteriormente quando, nel 1974, verrà fuori un carabiniere, tale Rinaldo Salvatori, il quale la canzone l’avrebbe scritta nel 1934, "la risaia", per amore di una ragazza di Marsiglia che andava a fare la mondina: il testo («tante genti che passeranno» e «bella ciao ciao ciao») glielo aveva sistemato quel Giuseppe Rastelli autore di "Papaveri e papere", che era più in odore di fascismo che di comunismo. Tant'è!

già pubblicato sul blog il 22 aprile 2010

lunedì 29 aprile 2024

Il modo di produzione bellico-“schiavile” !!??!!

Canfora & Ieranò ci raccontano come in Grecia e nell'antica Roma esistesse già la Merce; e che quella più preziosa sarebbe stata la cosiddetta forza lavoro!!! Non contenti, usando addirittura «l'oscuro Eraclito» (sic!), ci spiegano - soprattutto a chi come me non ritiene che le civiltà antiche costituissero un capitalismo in embrione - che quella preziosa merce avrebbe costituito la base di una (indovinate cosa?!?? ma certo): l'Economia, la quale sarebbe stata la base di un modo di produzione che, a partire dalla guerra – indispensabile a procacciarla; non si capisce perché non allevarla invece!!?? Tutto questo sembra quasi tradire il desiderio dei due brillanti teorici che una società così, data l'infrazione migrante, potrebbe anche costituire una sorta di perfezionamento, dando continuità così a questo nostro splendido capitalismo che muore, che non sa che farsene dei superflui.

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«In tempi schizzinosi una diagnosi quale “le società antiche greca e romana erano slave societies, società schiavistiche” veniva accolta, come relitto paleo-marxista, con ironica condiscendenza. È perciò confortevole – a rettifica delle storture dovute alle mode – leggere, in un insospettabile e rigoroso repertorio scientifico, Der Neue Pauly (volume XI, Stuttgart-Weimar 2001), quella ben fondata diagnosi, addirittura reiterata più volte: nella voce Commercio di schiavi (Sklavenhandel), firmata da Paul Cartledge (col. 621), e nella voce Schiavitù in Grecia (Sklaverei, III, Griechenland), firmata da Hans-Joachim Gehrke (col. 627). Gli adoratori delle mode si mettano l’animo in pace. La struttura fondamentale delle società antiche, cioè il basamento schiavistico, ha varie implicazioni: la più rilevante è il nesso strettissimo con la guerra».

Partendo da una lettura dei documenti e delle fonti, priva di pregiudizio e coltissima, lo storico e filologo Luciano Canfora ha la capacità di rendere sorprendenti e piacevoli (e il più delle volte anche attuali) gli argomenti antichistici di cui scrive. Qui la sua lente si sofferma sul «modo di produzione bellico». È descritto il circuito guerra-rapina-guerra su cui si fondavano le economie schiavistiche e imperialistiche della Grecia e di Roma. Un meccanismo che portava una sua autodistruttiva contraddizione interna. E non poche volte i testimoni del tempo che Canfora rilegge, la rilevavano e denunciavano.

(dal risvolto di copertina di: Luciano Canfora, "Guerra e schiavi in Grecia e a Roma. Il modo di produzione bellico". Sellerio, pp.128, €13)

Atene e Roma combattevano per la merce più preziosa: gli schiavi
- di Giorgio Ieranò -

«Senza gli schiavi, ventimila ateniesi non avrebbero potuto deliberare tutti i giorni sulla pubblica piazza», scriveva Benjamin Constant nel suo “Discorso sulla libertà degli antichi comparata con quella dei moderni" (1819). Un approccio realistico al mondo dell'antica Grecia che implicava una visione critica della tanto celebrata democrazia di Atene. La critica però diventa elogio, alcuni decenni più tardi, nelle parole di Thomas Cobb, generale dell'esercito confederato durante la guerra civile americana, morto combattendo i nordisti a Fredericksburg. Cobb scriveva, infatti, nel suo "Historical Sketch of Slavery"(1859): «Lo schiavismo è un elemento essenziale in una vera repubblica, per preservare una perfetta eguaglianza tra i cittadini e per far crescere e incoraggiare lo spirito di libertà». Si parla,ogni tanto, di «abuso» degli antichi. Ma ci sarebbe da chiedersi se quello di Cobb fosse davvero un «abuso»: gli ateniesi del tempo di Pericle o i romani dell'età di Giulio Cesare, probabilmente, si sarebbero riconosciuti pienamente nelle sue parole. Il tema dello schiavismo nel mondo antico è discusso da tempo. Negli ultimi decenni, attenuatosi anche l'influsso della dottrina marxista sugli studi storici, si è talvolta cercato di sfumare la visione proposta da grandi storici come Moses Finley che individuava in Atene e Roma due «società schiavili» (slave societies) in cui il ricorso alla manodopera servile era largamente diffuso e fondamentale per sostenerne la struttura. Ma in questo libro Luciano Canfora, con il suo straordinario rigore filologico e con la sua visione non consolatoria del mondo antico, rimette al centro il grande tema della schiavitù. Insistendo soprattutto su due motivi: la connessione tra guerra e schiavitù e il numero impressionante degli schiavi, variamente attestato da testimonianze antiche sulle quali molti storici moderni hanno esibito un non giustificato scetticismo.

Per il primo tema, schiavi e guerra, suggerisce Canfora, basterebbe iniziare leggendo Omero. Tutta la trama dell'Iliade nasce, del resto, dalla contesa tra Achille ed Agamennone intorno a due schiave di guerra. Che la conquista di una città, oppure le razzie piratesche in cui i greci, come i fenici o gli etruschi, si distinguevano fin dai tempi più remoti, servissero anche per rifornirsi di manodopera servile è nozione ovvia nei poemi omerici. E non è un'invenzione poetica ma un tratto realistico. Si leggano, per esempio, le parole di Ettore ad Andromaca in uno dei passi più celebri dell'Iliade. L'eroe troiano ha ben chiara la visione di cosa lo attende dopo la sconfitta. Sa che lui e gli altri guerrieri cadranno in battaglia ma prefigura anche il destino di sua moglie: «Io penso a te, a quando qualcuno degli Achei vestiti di bronzo ti priverà del giorno della libertà e ti trascinerà via in lacrime; a quando in Argo dovrai tessere stoffe per un'altra donna o porterai acqua dalle fonti, contro il tuo volere, costretta dalla dura necessità; e forse qualcuno dirà vedendoti piangere: "È la sposa di Ettore che fra i Troiani domatori di cavalli era il più forte quando si combatteva intorno a Ilio". Ma possa io morire,possa ricoprimi la terra prima che ti sappia trascinata in schiavitù». Vari episodi della storia greca, evocati da Canfora, confermano questa realtà. Per esempio, nel 416 a. C., la vendita sul mercato degli schiavi di tutte le donne e i bambini dell'isola di Melo, schiacciata dagli ateniesi. Del resto, lo diceva anche Eraclito, per una volta almeno con parole tutt'altro che oscure: «La guerra (polemos) è padre di ogni cosa, è il re di ogni cosa. E la guerra che ha reso alcuni schiavi, altri liberi».

Ma quanti erano effettivamente gli schiavi nelle società antiche? Le testimonianze concordano sul fatto che il loro numero era alto. L'oratore Lisia diceva che «tutti gli Ateniesi posseggono schiavi». Una circostanza che, scrive Canfora, sembra confermata anche da una commedia di Aristofane, il Pluto, dove il protagonista, Cremilo, sebbene afflitto dalla povertà,ha tuttavia almeno due schiavi. Del resto, Tucidide racconta che, nel 413 a. C., approfittando dell'invasione spartana nel territorio dell'Attica, ben ventimila schiavi fuggirono da Atene. Mentre, secoli più tardi, stando alla testimonianza di Tito Livio, i romani razziarono addirittura 150mila schiavi dall'Epiro. Nel mercato di schiavi dell'isola di Delo, uno dei centri commerciali più importanti del mondo antico, secondo il geografo Strabone, si arrivava del resto a vendere decine di migliaia di schiavi in un solo giorno. Non c'è motivo, dice Canfora, di dubitare di queste cifre, come spesso si è fatto. Ci si può così rendere conto anche della dimensione reale delle cosiddette guerre servili che spesso afflissero il mondo romano (culminando nella celebre rivolta di Spartaco). Guerre in cui, secondo un altro erudito, Ateneo, morì più di un milione dischiavi. Un libro, insomma, quello di Canfora, che non è solo un esercizio avvincente di critica filologica e di ricostruzione storica, ma anche un antidoto al fiume di melassa classicistica che, spesso, nella pubblicistica corrente, avvolge la realtà del mondo antico.

- Giorgio Ieranò - Pubblicato su Tutto Libri dell'11/11/2023 -